Corriere della Sera

La vicenda

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È uno degli afgani a dare il segnale. I bambini smettono di giocare, le donne stringono i più piccoli, gli uomini risalgono dalla «città di sotto» sul piazzale della stazione. Un grido, «Libertà». Poi il canto in arabo, ritmato e potente, «Un solo popolo». Non sanno, Bilal e Ahmed, che nell’89 le stesse parole a Lipsia e Dresda aprirono una breccia in un altro Muro, in quella Germania che ora è a un passo ma mai così lontana. Gli agenti si schierano in assetto antisommos­sa, indossano mascherine, infilano i caschi, stringono manganelli. Guerra di nervi, guerra di posizione, nel nulla della stazione dove non si passa, Keleti, Budapest.

Stremati dopo settimane di

Sono stati 50 mila gli ingressi di migranti in Ungheria registrati ad agosto. Quasi 2.300 solo martedì scorso, 350 minori

Al confine tra Ungheria e Serbia è sorta una barriera di filo spinato alta 4 metri e lunga 175 km. Molti la superano strisciand­o viaggio, giovani e anziani accalcati nelle pozze d’ombra al riparo di statue e muretti, distesi tra rifiuti e bagni chimici.

I più fortunati hanno una tenda dove riposano a turno. Si dividono tra la piazza e il sottopassa­ggio, guardano i giornalist­i venuti per le dirette da tutto il mondo come fossero in tv. Per non sprecare acqua i bambini svitano il tappo quanto basta a far cadere poche gocce sui piedi nudi. È un tipo sveglio, Bilal. Parla solo pashtu ma afferra al volo l’inglese. Ha 14 anni ed è il portavoce della famiglia: il fratello Ahmed, 28 anni, e suo figlio Ali Akbar di 5. Gli uomini di casa, partiti all’avventura dalla provincia di Farah. Tutti gli altri ancora in Afghanista­n, appuntamen­to in Germania.

Non la capiscono, quest’Ungheria che lunedì lascia partire i treni della speranza e martedì chiude ai migranti le porte di Keleti, snodo storico della Mitteleuro­pa, varco verso Germania e Austria ma anche Polonia, Croazia, Italia. Ora possono passare ungheresi e cittadini Ue con documento in vista. I profughi aspettano. Silenzio, dopo le parole di Angela Merkel che hanno acceso l’illusione di essere subito accolti in Germania e fatto infuriare Vienna perché « i migranti vanno registrati all’ingresso». In serata ci riprova la polizia con gli altoparlan­ti: venite in caserma. I duemila di Keleti non ci stanno. L’esasperazi­one monta, i capi separano i più irrequieti dagli agenti, pure loro giovani e tesi. Una sospension­e dove basta un pretesto a far divampare l’incendio. «Legge e ordine — dice il governo del nazionalis­ta Viktor Orbán — li faremo rispettare lungo i confini della Ue, compresi quelli con la Serbia» dov’è sorta la barriera di filo spinato alta 4 metri e lunga 175 chilometri. La conoscono bene, i migranti arrivati a Budapest, molti l’hanno superata Destinazio­ne Germania Un uomo a Budapest con il cartello che dice Germania strisciand­o, c’è chi ha ancora i segni sulle braccia. Oltrepassa­rla, secondo le leggi in discussion­e al Parlamento, diventerà un crimine punibile con il carcere. Vicino a quel muro ieri 300 dell’estrema destra di Jobbik hanno sfilato con la bandiera magiara. Mentre nella capitale scendevano in piazza in 4 mila: «Non in mio nome», con i migranti e contro il governo.

Forte del ruolo di «bastione d’Europa», oggi Orbán vedrà a Bruxelles i presidenti JeanClaude Juncker e Donald Tusk per discutere dell’emergenza. Oltre 50 mila gli ingressi in Ungheria registrati ad agosto. Quasi 2.300 solo martedì scorso, 350 minori. Bambini e treni, immagini di una guerra d’altri tempi. Convogli vietati a Budapest, bloccati per protesta a Calais. Bimbi marchiati in Repubblica Ceca, uccisi dal Mediterran­eo. Davanti alla stazione di Keleti un volontario nigeriano in giacca e cravatta distribuis­ce acqua e frutta. A Wahid e alle sue due mogli 18enni. A Jasmine e a suo figlio di tre anni che sorride, afferra una mela e manda un bacio.

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