La vicenda
L’allungamento dei tempi per l’approvazione in Parlamento della riforma Rai porta al varo del nuovo cda della tv pubblica con le regole della legge Gasparri
Il 4 agosto la commissione di Vigilanza vota i sette consiglieri che le spettano. Si tratta di Guelfo Guelfi, Franco Siddi, Rita Borioni (in quota Pd), Paolo Messa (in quota Ncd e Udc), Arturo Diaconale, Giancarlo Mazzuca (in quota FI), Carlo Freccero (in quota M5S e Sel)
Sui nomi dei nuovi membri del consiglio di amministrazione della tv pubblica scattano le polemiche. Il premier Matteo Renzi tiene il punto: si tratta — dichiara— di «persone che hanno professionalità e competenze tali da giustificare la loro presenza nel cda». Sono «esperti di comunicazione, anziché astrofisici»
Il 5 agosto il governo indica Monica Maggioni, direttrice di Rainews, per la presidenza e Marco Fortis consigliere per il Tesoro. Con 29 voti a favore, 4 contrari e 5 schede bianche la Vigilanza dà il via libera
Il 6 agosto il nuovo Cda nomina Antonio Campo Dall’Orto direttore generale Rai
The Office, quando l’ufficio è tutto. Mentre il direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, parla di Rai pop, di discontinuità, di «sperimentare un nuovo tipo di linguaggio capace di essere al passo con i cambiamenti della società» (ma esistono nuovi linguaggi in tv?), di superare la «dittatura degli ascolti» (grandioso alibi per eventuali scorni); mentre la presidente Monica Maggioni può firmare contratti fino a 10 milioni di euro e nominare dirigenti di strutture non editoriali, un cruccio continua a tormentare i consiglieri di amministrazione di Viale Mazzini: vogliono l’ufficio.
L’ufficio per loro è tutto: habitat, location, status symbol, soft power, insomma una ragione di vita per un cda di basso profilo (salvo debita eccezione). Le loro nomine assomigliano a premi di consolazione ma senza la consolazione dell’ufficio non sono neanche pop. Così, da giorni si lamentano: «Ci hanno detto che non abbiamo diritto agli uffici, ma chi lo decide? Siamo noi a doverlo fare! Il Cda Rai non è come quello di una qualsiasi azienda privata che si riunisce tre volte all’anno».
L’ufficio con segretaria al settimo piano di Viale Mazzini nasconde una profonda anomalia, un «unicum» nel panorama italiano, e non solo. È infatti una vecchia consuetudine, figlia della lottizzazione, concedere ai consiglieri un ufficio nel palazzo della Rai. Di solito, nelle grandi aziende, i consiglieri si radunano il giorno del consiglio e poi se ne tornano al loro lavoro; al massimo godono di una segreteria in comune. In Rai, no. Già il governo Monti aveva tolto molti dei loro privilegi (benefit, macchina con autista, sontuosi rimborsi spesa…), anche la presidente Anna Maria Tarantola aveva cercato di proporre uffici condivisi. Ma se a questo cda togli anche l’ufficio cosa gli resta?
Lo scanno del settimo piano è una sorta di ufficio di rappresentanza dei partiti di riferimento, di ufficio reclami per dipendenti malmostosi, di ufficio di collocamento. Spesso è anche il terminale della raccomandazione.
Ora come ora, pare solo un ufficio funebre.