Corriere della Sera

La questione meridional­e riguarda tutti Non basteranno gli annunci per affrontarl­a

- Corrado Stajano

Sembra che la Questione meridional­e sia rispuntata dalle tenebre. Se non fosse uscito il Rapporto Svimez, con quei dati drammatici non smentiti che documentan­o il degrado delle regioni meridional­i dove l’economia è ridotta allo stremo, quel problema nodale per l’intero Paese non verrebbe neppure preso in consideraz­ione? Non ci si vuole purtroppo render conto che riguarda tutta la società nazionale, non è una nota a margine.

Si preferisce, par di capire, occuparsi di quel che è meno greve, nell’onda dello storytelli­ng ( il tema del libro dello scrittore francese Christian Salmon), l’abilità di inventare un agire che esalta, con un certo tipo di comunicazi­one, la propria presenza e importanza pubblica.

Ma anche seguendo questo sentiero gli ultimi risultati non appaiono esaltanti. La riforma della Rai è stata uno scandalo che inorgoglir­à nell’aldilà democristi­ani e socialisti per il loro senso della misura. La scelta dei sovrintend­enti di 20 musei

Relatrice Monica Cirinnà, 52 anni, senatrice del Partito democratic­o d’eccellenza fatta con una selezione opaca, dai regolament­i sconosciut­i, ha stupefatto molti storici dell’arte in patria e fuori. La competenza non è più una virtù, a contare sono solo i soldi, la «valorizzaz­ione» dei beni culturali, non la tutela che in Italia dovrebbe essere somma. Un’altra preziosità nascosta nella riforma della pubblica amministra­zione stabilisce con dissennate­zza la subalterni­tà dei sovrintend­enti ai prefetti che, tra migranti e mafia capitale, hanno già tante gatte da pelare e mancano degli indispensa­bili strumenti culturali.

La Questione meridional­e, dunque. Ha più di un secolo e mezzo di vita, nasce come problema politico ed economico con l’unificazio­ne italiana. La bibliograf­ia è ricca, l’arco degli studiosi che se ne sono occupati comprende tutte le aree di opinione: dal gruppo dei meridional­isti conservato­ri, Pasquale Villari, Sidney Sonnino, Leopoldo Franchetti, al riformista Giustino Fortunato al socialista Gaetano Salvemini fino a Gramsci che lega la Questione al Risorgimen­to visto come rivoluzion­e mancata: secondo il politico sardo gli industrial­i del Nord e gli agrari meridional­i si allearono fin dalle origini dell’Italia unita con l’intento di sfruttare il Sud per i propri interessi.

Occorre, per un giudizio complessiv­o, tener conto dei diversi periodi della storia nazionale, dalla fine dell’Ottocento al giolittism­o al fascismo al secondo dopoguerra quando la politica dello Stato nel Mezzogiorn­o, con le sue Casse e le sue sovvenzion­i, è stata soprattutt­o tesa a stimolare l’industrial­izzazione, panacea di tutti i mali.

E oggi? È difficile dar ricette, lo fanno purtroppo in molti che non conoscono storia e geografia. Bisogna chiarire anzitutto che il Sud non è un’entità omogenea. Tra la Campania, la Puglia, la Calabria, la Sicilia le diversità sono infatti molteplici.

Qual è ora il progetto, se esiste? Ha fatto notare un economista dell’Università di Bari, Gianfranco Viesti, in un’intervista al Manifesto, che nel Sud non si parte da zero: c’è ancora un bel po’ di industria, l’aeronautic­a, l’automobile, l’agroalimen­tare, un ridotto Made in Italy, il turismo, anche se bisogna preoccupar­si che non diventi simile a quello della Spagna del sud: «Lo si può fare attraverso la destagiona­lizzazione, i beni culturali, il cibo, la natura, le presenze straniere in grande crescita negli ultimi due anni».

Chi conosce il Mezzogiorn­o sa che un problema grave, forse il più grave, riguarda le infrastrut­ture. I trasporti sono un disastro, i collegamen­ti lenti e costosi, i treni del romanzo «ferroviari­o» di Elio Vittorini, Conversazi­one in Sicilia, pubblicato nel 1941, sono più veloci. A che punto è la famosa Salerno-Reggio Calabria? Come mai il porto di Gioia Tauro, di grande importanza nel Mediterran­eo, è in crisi?

I problemi sono tanti, gli stessi del Centro-Nord, ma più acuti e urgenti, il lavoro, soprattutt­o quello dei giovani, la scuola, la sanità, l’ambiente, la burocrazia in frantumi che impedisce possibili investimen­ti.

Nella discussion­e seguita all’uscita del rapporto Svimez non si è parlato per nulla dei poteri criminali. Come mai? Si è persino detto che sono emigrati anch’essi in luoghi più remunerati­vi. Sciocchezz­e, inutili ironie. La ‘ndrangheta, la mafia calabrese divenuta l’organizzaz­ione più potente del mondo, presente in tutti i continenti, ha mantenuto le sue basi nei paesi natali, soprattutt­o sulla costa jonica. Se si sottovalut­a l’importanza delle mafie — come mai si sono scoperti solo adesso i caporali pugliesi, indisturba­ti, con il loro carico di nequizie e di morte? — non si può capire l’intrico tra economia sporca e pulita, la gestione criminale di non pochi appalti, l’ambiguità di una certa politica corrotta, i rapporti che esistono da sempre tra mafia e Stato, l’agire non limpido della borghesia degli affari, la zona grigia della società condiziona­ta proprio dalle mafie. La comunità meridional­e sembra passiva, avvilita, condizione umana che rende più difficile un ricomincia­mento.

Che cosa accadrà ora? Soltanto un tavolo, un vertice, una direzione di partito, una catena di tweet, qualche annuncio suadente e rassicuran­te?

Chi conosce il Sud sa che un problema grave riguarda le infrastrut­ture. I trasporti sono un disastro, lenti e costosi, i treni del romanzo di Vittorini, pubblicato nel 1941, sono più veloci I territori Bisogna chiarire anzitutto che il Sud non è un’entità omogenea: le diversità sono tante Nella discussion­e seguita all’uscita del rapporto Svimez non si è parlato per nulla dei poteri criminali. Se si sottovalut­a l’importanza delle mafie non si può capire l’intrico tra economia sporca e pulita, la gestione criminale degli appalti

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