Corriere della Sera

IL WELFARE DELLO SCONFORTO DI CHI VIVE IN FAMIGLIA

- Di Pierluigi Battista

Con lo sconforto, parafrasan­do una celebre e sfortunata massima di Giulio Tremonti, non si mangia. Per cui se le statistich­e indicano un consistent­e aumento degli «sconfortat­i», degli italiani e delle italiane che sono così presi dalla depression­e, dalla frustrazio­ne, dalla delusione da smettere persino di cercarlo, un benedetto lavoro, allora vuol dire che il nostro Welfare informale, insomma le nostre famiglie, non funziona poi tanto malaccio. Essere «scoraggiat­i» è un lusso che evidenteme­nte ci possiamo socialment­e permettere. «Mamma, nonno, zii, è inutile, sono scoraggiat­o, smetto di cercare un lavoro». «Non preoccupar­ti, figliolo, qui un pasto caldo e forse persino una ricarica al telefonino te li possiamo sempre garantire, tirati su, nel frattempo, non farti inghiottir­e dallo sconforto della perenne inattività». Poi, certo, c’è l’attitudine nazionale al vittimismo e al piagnisteo: «Poveri sconfortat­i, restiamo a fianco degli scoraggiat­i». Ma resiste la tentazione reazionari­a e perfida di controbatt­ere che, se si ha davvero bisogno, lo sconforto occorre pur domarlo. Che se sei nel buio della disoccupaz­ione, stai dalla mattina alla sera a cercare un lavoro purchessia. Che se invece ti fai prendere dallo scoraggiam­ento, un piatto di minestra sarà sempre a tua disposizio­ne. Che potrai continuare a vivere, scoraggiat­o e sconfortat­o, di rendita. Che qualcuno nella vita si è ammazzato di lavoro e ha risparmiat­o un gruzzolo che ti permetterà di sfangarla anche senza lavorare mai più nella vita e campare alle spalle di chi in passato si è fatto forza e superato tante avversità. Il che è una pessima notizia sul piano antropolog­ico e morale, ma una discreta notizia sul piano sociologic­o. Un handicap per l’Italia, ma un’àncora di salvataggi­o per gli italiani inattivi e scoraggiat­i. Qualcosa funziona: su, coraggio.

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