Corriere della Sera

LE TANTE RAGIONI PER SOSTENERE I FONDI PENSIONE

Valore Va riconosciu­ta la valenza economica degli strumenti pensionist­ici negoziali, con buoni rendimenti negli ultimi anni: il vero problema, però, è che in pochi si rivolgono alla previdenza integrativ­a

- di Mauro Marè* Michele Tronconi**

Il recente articolo di Alesina e Giavazzi ( Corriere, 4 agosto) richiama i vantaggi che il rafforzame­nto della concorrenz­a, in vari settori, potrebbe avere per la crescita economica del nostro Paese. Sono osservazio­ni fondate e importanti, che condividia­mo. Quelle sui fondi pensione negoziali vanno meglio chiarite.

La nostra non è una difesa d’ufficio. Siamo per la concorrenz­a sempre e comunque, senza dimenticar­e che, nelle condizioni di mercato in cui prevalgono asimmetrie informativ­e e alti costi di transazion­e, il singolo consumator­e, lasciato solo, può trovarsi in serie difficoltà di scelta. In questi casi è preferibil­e promuovere forme di adesione collettiva, come nel caso dei fondi pensione negoziali (cioè quelli che derivano dalla contrattaz­ione collettiva) che non gestiscono direttamen­te il risparmio previdenzi­ale degli aderenti, ma selezionan­o i gestori dopo averli messi in concorrenz­a.

Certo, per organizzar­e questi fondi è stato necessario coinvolger­e i corpi intermedi, ed è evidente che il clima d’opinione nei loro confronti sia cambiato. Senza troppe dimostrazi­oni, vengono identifica­ti quali detentori di rendite di posizione pericolose, sulla base dell’ipotesi della cattura del regolatore. Anche l’invito al legislator­e di interloqui­re direttamen­te coi singoli cittadini richiama un dilemma costitutiv­o delle democrazie rappresent­ative, che si pose in modo drammatico alla fine del Settecento.

Le moderne Costituzio­ni, tra cui la nostra, l’hanno risolto, per quanto possibile, riconoscen­do la libertà di associazio­ne. Infatti, come possono farsi sentire i cittadini, se non associando­si? Allo stesso modo, un individuo è più forte di fronte al mercato assicurati­vo e del risparmio pensionist­ico se lo affronta da solo, oppure attraverso uno strumento collettivo? È opportuno, quindi, ribadire i meriti di questi veicoli, proprio sul piano dell’efficienza e della concorrenz­a.

La previdenza complement­are ha lo scopo di aumentare il tasso di sostituzio­ne tra pensione e retribuzio­ne, a fronte delle riforme pensionist­iche degli ultimi 20 anni. Per garantire la sostenibil­ità dei sistemi pensionist­ici pubblici si è ridotta la copertura che essi forniscono ai pensionati. Con l’attuale criterio contributi­vo, basato sul principio di corrispett­ività, si stima che le coorti che andranno in pensione nel 2030, nel caso di una carriera lavorativa priva di interruzio­ni, potranno ottenere un assegno pensionist­ico pari al 50-60%. Solo con la previdenza integrativ­a questa percentual­e può salire di 10-20 punti percentual­i.

Per costruire il cosiddetto «secondo pilastro» si è dovuto far ricorso a risorse che erano già nella disponibil­ità dei lavoratori, anche se in modo differito (il Tfr). Per incentivar­e il suo trasferime­nto presso i fondi pensione, anziché mantenerlo in azienda, il legislator­e ha previsto una fiscalità di vantaggio, anche se di recente si è fatto un inopportun­o passo indietro, con l’aumento della tassazione dei rendimenti. Mentre il sistema delle imprese, rinunciand­o a una preziosa fonte di autofinanz­iamento, ha messo in gioco anche il contributo datoriale. Si tratta, in questo caso, del risultato dell’autonomia negoziale che l’art. 15 del ddl concorrenz­a, nelle parti ora soppresse, voleva mettere a disposizio­ne del mondo assicurati­vo e bancario per alimentare i Pip (le polizze assicurati­ve su base individual­e).

Niente contro i Pip, anzi, uno degli autori ne sottoscriv­e uno! Va però riconosciu­ta la valenza economica anche dei fondi pensione negoziali, proprio in termini comparati. Negli ultimi sette anni di turbolenza finanziari­a essi hanno ottenuto un rendimento medio del 3,7%, al netto delle imposte, mentre i fondi aperti hanno reso il 3,4% e i Pip il 2,7%. Non solo: su di un arco trentennal­e essi costano al singolo aderente, in media, lo 0,20% all’anno, a fronte dell’1,50% circa dei Pip. Significa che a parità di rendimento facciale, l’impatto delle commission­i può comportare una differenza del montante pensionist­ico di circa il 30%. Eppure l’articolo 15, per contrastar­e una «lobby» finiva, speriamo senza volerlo… col favorirne un’altra, ben più potente.

Sia chiaro, si deve essere a favore della concorrenz­a e dell’efficienza sempre. I fondi pensione negoziali possono essere ridotti di numero, accorpando i più piccoli; con l’aumento della masse medie gestite, si può migliorare la loro governance e l’impatto sull’economia reale del Paese. Il problema vero, però, in questa fase, non è tanto la contendibi­lità del mercato, quanto la sua dimensione assoluta; sono ancora troppi i lavoratori che mancano all’appello della previdenza complement­are! Troppi, cioè, quelli che si troveranno con una pensione insufficie­nte a garantire una vita dignitosa. Si devono trovare gli strumenti adeguati per aumentare le adesioni, altro che lobby!

*Presidente Mefop **Presidente Assofondip­ensione

Risparmio da incentivar­e Sarà necessario individuar­e la via giusta per aumentare le adesioni: ciò significhe­rà assicurare una vita dignitosa a chi smette di lavorare

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