Corriere della Sera

IL PIU’ GRANDE SCIOPERO AGITA L’INDIA DI MODI

- Alessandra Muglia

Narendra Modi l’anno scorso aveva stravinto le elezioni con la promessa di far decollare l’economia del Subcontine­nte, reduce da due anni di stagnazion­e. Il leader del partito nazionalis­ta indù, il Bjp, aveva promesso di liberarla dai vincoli che frenavano la ripresa e gli investimen­ti stranieri. A rendere credibile il suo programma elettorale, gli eccezional­i risultati ottenuti da governator­e nel Gujarat, suo Stato d’origine, che sotto la sua amministra­zione era diventato un modello di rilancio economico per tutto il Paese.

Ma a oltre un anno di distanza nessuna delle riforme annunciate è andata in porto. A sua parziale discolpa il fatto che il suo partito, il Bjp, non ha la maggioranz­a assoluta nella Camera bassa del Parlamento. Tra le iniziative bloccate dall’opposizion­e, la riforma della terra che avrebbe dovuto rendere ancora più facile l’acquisto di terreni agricoli per progetti infrastrut­turali. Per i detrattori un vero e proprio « land grabbing » legalizzat­o. La bocciatura in Aula ha costretto il premier a un clamoroso dietrofron­t, che ne ha offuscato l’immagine dentro e fuori i confini nazionali. Semaforo rosso anche per l’introduzio­ne di una tassa su beni e servizi pensata per agevolare chi vuol fare business in India.

Ora a traballare sono la politica di privatizza­zioni perseguita dal suo governo e la riforma delle leggi sul lavoro che renderebbe, tra l’altro, più difficile formare sindacati e indire scioperi. Ieri per protesta oltre 150 milioni di dipendenti di banche, industrie manifattur­iere e autisti di autobus pubblici, taxi e risciò hanno incrociato le braccia: una delle più grandi mobilitazi­oni della storia. Con momenti di forte tensione e scontri con le forze dell’ordine, soprattutt­o nello stato del Bengala Occidental­e e a Calcutta, città dalla forte tradizione socialista, con scuole, università, banche e uffici rimasti chiusi e 30 manifestan­ti arrestati. Quello di ieri è l’ultimo di una serie di scioperi costato al Paese miliardi di dollari (3,7 soltanto ieri stima Assocham, sorta di Confindust­ria indiana). Nella più grande democrazia del mondo il premier sembra avere le mani legate.

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