Partenope, la mistica musa di Bernini
La storia di una religiosa napoletana venerata dal popolo e perseguitata dall’Inquisizione
Si chiude con Io, Partenope la lunga storia di uno scrittore che raccontando tante storie minime ha voluto raccontare la storia d’Italia: e lo ha fatto ostinatamente per un arco di tempo durato almeno trent’anni, a partire da La notte della cometa, il romanzo del poeta matto Dino Campana, uscito nel 1984, che ha segnato il passaggio dall’attrazione neoavanguardistica al romanzo storico o almeno a qualcosa di simile. Sebastiano Vassalli è lo scrittore che più di tutti ha avuto l’ossessione del carattere nazionale degli italiani ed è andato a cercarlo ovunque: nei secoli, nei luoghi, nelle mitologie vicine e lontane.
L’ultimo romanzo di Vassalli, che esce postumo, è simile e diverso dai precedenti. Simile perché si tratta ancora di un racconto storico, per di più ambientato in un periodo ampiamente frequentato con la Chimera. Diverso perché muta la geografia di riferimento (non più la provincia, ma le due maggiori città del Centro-Sud) e in particolare perché i modi del racconto non hanno nulla a che fare con gli altri libri, trattandosi di un romanzo in prima persona, il cui io narrante non è identificabile con l’autore stesso, come avveniva invece ne L’oro del mondo, dove il narratore-protagonista si chiamava Sebastiano.
Qui a raccontare la propria vita è suor Giulia Di Marco, detta Partenope. Così, Vassalli si conferma fino all’ultimo sperimentatore inquieto delle forme narrative. Ed è sorprendente anche considerando il fatto che Io, Partenope è stato elaborato battendo a macchina (Vassalli non ha mai acceso un computer) con la furia di chi sapeva che il suo tempo andava assottigliandosi a causa della malattia micidiale. Questo ultimo romanzo in realtà, proprio per il passaggio determinante dal narratore esterno alla voce in soggettiva, sarebbe potuto essere un nuovo inizio. Dunque, Vassalli per la prima volta dà voce a una donna, una donna speciale: e non a caso, visto che il romanzo è centrato anche, per non dire soprattutto, sulla questione femminile come e più della Chimera, il romanzo della giovane «strega» di Zardino. Come sempre, anche qui abbiamo una cornice, ma è una cornice sui generis, in cui il tempo viene annullato («non è più il suo tempo e non è ancora il mio: è il tempo della letteratura, dove tutto, o quasi tutto, è possibile»): l’autore immagina di tornare indietro di quasi quattrocento anni, di aspettare il suo personaggio in una chiesa e di incontrare una «vecchierella vestita da suora», per chiederle di raccontare la sua vita, non quella «scandalosa e completamente falsa» che ci è stata tramandata dal tribunale dei preti: la sua vera vita. Perché? Perché lui vuole ascoltarla e trascriverla come fosse un copista, per consegnarla ai lettori del futuro.
Dopo qualche esitazione, la donna prende la parola e d’ora in poi sarà lei a narrare, senza interruzione. Solo alla fine ricompare la voce dell’autore per fare un bilancio non solo della storia di Partenope, ma della propria opera, ben sapendo che questo è l’atto estremo. Dunque il libro è anche, in qualche misura, un lucido testamento la cui ultima frase è: «Ho raccontato l’Italia». Volendo andare oltre, visto che sembra essere l’autore stesso a legittimare questa lettura, si potrebbe aggiungere che si tratta anche di un libro-conversione, che denuncia l’ipocrisia e la ferocia della Chiesa dei papi, ma che, dando la parola alla sua protagonista, aderisce alla fede estatica e senza mediazioni promossa a suo tempo da suor Giulia. Un mito, come tanti dei miti raccontati da Vassalli. Ma questa volta un mito non satireggiato. Si avverte subito, negli altri libri, la distanza dell’autore dalle utopie dei suoi personaggi (Vassalli è un raccontatore di utopie fallite), ne è una spia l’uso ricorrente dell’ironia o del sarcasmo, comunque del commento fuori campo. Qui questo non avviene, non può avvenire perché non c’è più il narratore onnisciente Vassalli a muovere dall’alto i fili dei suoi personaggi e a giudicarli a posteriori. Il narratore fa un passo indietro, ascolta e trascrive, ma fa anche un gigantesco passo avanti, attribuendosi il potere magico, quasi postumo a se stesso, di incontrare (da fantasma?) il proprio personaggio: vi ricordate il Saramago de L’anno della morte di Riccardo Reis, dove l’eteronimo incontra il suo autore defunto? Ecco, una vertigine del genere.
Chi è Giulia Di Marco? E quale fu il suo scandalo? In breve. Nata attorno al 1580 a Sepino, sulle montagne del Molise, da un contadino e da una comare, viene ceduta bambina a un anziano mercante di vasellame, per finire poi, alla morte di mastro Leonardo, con la sorella di lui, a Napodi
Spiritualità Un libro-conversione, che denuncia l’ipocrisia e la ferocia della Chiesa dell’epoca ma aderisce del tutto alla fede estatica della protagonista