E l’«orefice» Calder sposò estetica e storia
Il primo dono che lo scultore statunitense Alexander Calder (1898 – 1976) regalò a sua moglie Louisa James, pronipote dello scrittore Henry, fu un braccialetto in ottone martellato dalle forme arcaiche. La scena di Calder che regala quest’oggetto a Louisa che lo indossa, fa venire in mente quella dell’archeologo Heinrich Schliemann che, scoperti nell’Ottocento i gioielli del tesoro di Priamo a Troia, li fece indossare alla moglie. Anche in questo caso si trattava di enormi diademi, in oro battuto, dalle forme archetipiche. Le immagini di questi antichi gioielli, e la reinterpretazione delle loro forme operata da Calder (realizzò oltre 1800 gioielli, nella foto del 1930 è nel suo atelier), testimonia come la storia dell’oreficeria non sia solo una rincorsa all’esibizione del materiale prezioso ma anche una storia artistica in cui forma ed espressione contano quanto il materiale. Certo, fin dal ‘600 abbiamo la rincorsa a realizzare monili con pietre e materiali esotici ed esclusivi. Tuttavia, accanto a questa fascinazione, la gioielleria è stata popolata da oggetti rituali e religiosi, reliquiari, monili muliebri e simboli di potere che trovano nell’ideazione la ragione della loro dignità. Per la gioielleria vale la tesi che il filosofo Theodor W. Adorno espresse nella sua Estetica a proposito dell’oggetto d’uso: non è possibile scindere il contenuto materiale da quello estetico, poiché la materia è esteticamente intenzionata e ogni espressione si realizza solo sposandosi con una materia. Anche per questo, nel gioiello contemporaneo il ruolo del design o del significato connesso a una forma pareggiano, o sopravanzano, l’esibizione del materiale prezioso.
Pietre e metalli preziosi, ovvero gli ingredienti del gioiello. Eppure, oggi, il valore intrinseco dato dalla materia è (quasi) secondario: conta la fascinazione, la capacità di evocare mondi e suggestioni. Ecco perché il settore della gioielleria deve sapersi alimentare dei grandi cambiamenti socioculturali, attingere alla creatività più trasversale, insomma evolvere al passo con i tempi. Pur mantenendo integro l’appeal di saper creare «oggetti per sempre».
Obiettivo non facile per marchi e designer, non a caso VicenzaOro lancia ogni anno, in collaborazione con l’osservatorio indipendente Trendvision Jewellery + Forecasting, il trendbook, un volume che sintetizza le macrotendenze in atto nel settore, nato dal lavoro congiunto di esperti mondiali sotto la guida di Paola de Luca: esordi come designer e direttore creativo di gioielli, due decenni a New York che segnano l’inizio (pionieristico) di un’attività nel forecasting, la consulenza per i più importanti marchi del settore, fino alla creazione dell’osservatorio, progetto oggi incorporato da Fiera di Vicenza («ma rimanendo liberi e indipendenti», precisa de Luca) che realizza dal 2002 il trendbook.
Che cosa è cambiato in oltre un decennio di analisi? «Oggi il prodotto si crea in base a quello che chiede il consumatore finale, ovvero il gioiello nasce pensando a chi lo porterà», sintetizza. «Ecco perché per i
La ricerca Paola de Luca: «Ora anticipiamo lo scenario del 2017. Captando i nuovi gusti del pubblico»