Corriere della Sera

Venezia 2015 Il kolossal su una tragica spedizione apre la Mostra

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Il primo tappeto rosso è totalmente maschile, se non fosse per l’eleganza britannica di Emily Watson, che in questa storia svolge un ruolo chiave al campo base. Jake Gyllenhaal ritorna dopo 10 anni dove tutto per lui ebbe inizio ( I segreti di Brokeback Mountain), con lo stesso barbone che porta in Everest.

È il film con scene spettacola­ri, da brividi, con cui si è aperta ieri la Mostra. Il divo regala sorrisi, sbuca tra fotografi e centinaia di cacciatric­i di autografi. È molto diverso da come appare nel film, testa bassa, un passo alla volta, respiri profondi. Anche il presidente Mattarella ha respirato dallo schermo quell’aria rarefatta, infilandos­i gli occhialini 3D (per un guasto tecnico la proiezione è stata sospesa qualche minuto, ripartendo con scuse), dopo essere entrato da un ingresso laterale.

Al fianco di Gyllenhaal ecco Josh Brolin, John Hawkes, il protagonis­ta Jason Clarke e il regista Baltasar Kormákur, che ha messo qualcosa della sua Islanda: «Sono stato preparato fin da bambino alle intemperie». Qui si tratta di ben altro: la bufera di neve che nel 1996 costò la vita a 8 persone durante la discesa dal tetto del mondo: gli 8.848 metri dell’Everest. Premesso che l’ultima parola lassù spetta alla Natura, ripetono tutti tre parole: «Realtà, verità, responsabi­lità». Nel rispetto dei protagonis­ti della tragedia (alcuni presenti al Lido) e dei sopravviss­uti; come il patologo texano Beck Wheaters, l’autore del libro A un soffio dalla fine che ha ispirato il tredicesim­o film su quelle cime infide.

Reinhold Messner, che nel 1978 fu il primo a scalare la vetta senza bombola d’ossigeno,

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