Il ripiego che impoverisce e non sempre funziona
Nonostante gli sforzi della Federcalcio mirati a salvaguardare il prototipo del calciatore nostrano, l’invasione straniera non si arresta. Le prime due giornate di campionato dicono che, rispetto allo stesso periodo della stagione scorsa, gli italiani in campo sono ancora di meno. Domenica la Fiorentina (a Torino) e l’Udinese (con il Palermo) sono scese in campo con 11 giocatori stranieri, soltanto nel secondo tempo Rossi e Bernardeschi da una parte e Di Natale dall’altra sono stati autorizzati a lasciare la panchina per salvare in qualche modo l’onore nazionale vilipeso. Uno scenario sempre più inquietante, e non solo per Antonio Conte che con gli italiani ci campa. Ovviamente il fenomeno si presta a tutta una serie di riflessioni ad ampio spettro ma il fatto che nel nostro calcio siano saltate le marcature incide, eccome. Ad esempio sono scomparsi gli specialisti, i direttori sportivi in senso classico. Quelli che facevano i direttori sportivi tout court e la cui competenza, per evidenti motivi, non poteva che essere sopraffina. Piero Aggradi, Nardino Previdi, Tito Corsi: nomi pescati alla rinfusa dall’archivio della memoria. Giganti del mercato. Oggi, ed è giusto un esempio, nulla di personale of course, Carlo Osti, diesse della Samp, è costretto a correre dietro alle piroette del suo presidente, a fare cabaret con lui. Così, per forza di cose, si naviga a vista, ci si rifugia sullo straniero di seconda e terza scelta perché un nome esotico funziona sempre. Serve da sedativo nei confronti dei tifosi, li tiene sereni. Fino a quando, magari dopo qualche mese, si scopre che lo straniero in questione non è altro che un brocco patentato.