Corriere della Sera

A Budapest assalti ai treni e fughe nei campi Il premier Orbán «Non criticatec­i»

- di Maria Serena Natale DALLA NOSTRA INVIATA

Confortano genitori spaventati, parlano alle telecamere come adulti, crescono in fretta i figli della guerra. Nella stazione di Bicske sono i bambini a gridare dal treno quello che i grandi non sanno più chiedere: «No camp. Germany». Ma la Germania non c’è, il campo sì. Non toccateli, ingannatel­i.

Ci sono saliti di corsa sul treno verde e giallo con quell’assurdo filo spinato disegnato sulla prima vettura, aggrappati a un’illusione. Dopo due giorni di sosta forzata a Budapest, ieri gli agenti hanno riaperto ai migranti la stazione Keleti senza dare spiegazion­i. «Tutti i treni internazio­nali per l’Europa occidental­e sono cancellati», diceva il tabellone ma la folla ha assaltato il convoglio in partenza, pronta a tutto pur di rimettersi in viaggio. «Va a Monaco? — ripete chi non si decide e resta giù —. Non vogliamo che ci prendano le impronte qui». «Qui» il primo ministro Viktor Orbán teme che tornino gli ottomani come nella battaglia di Mohács del 1526, quando i turchi ridussero l’Ungheria a Stato vassallo: «L’immigrazio­ne musulmana mette in pericolo le radici cristiane dell’Europa», scrive sulla tedesca Faz prima di partire per Bruxelles lasciando il Parlamento a discutere del carcere ai clandestin­i. Contesta la Germania, minaccia nuovi muri: «La gente ha paura perché la politica è debole. Non criticatec­i se difendiamo i vostri confini». Il mio cristianes­imo è sacrificio e solidariet­à, ribatte Donald Tusk, polacco e presidente del Consiglio Ue che aggiunge: «Non dividiamoc­i tra Est e Ovest». Ma l’Europa è spaccata. Oggi i leader di Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria si vedono a Praga per discutere della crisi.

Il treno attraversa i campi di girasoli dell’Ovest. Quaranta chilometri e siamo a Bicske, una chiesa, un ufficio postale, case basse con i giardini curati, bambini che tornano da scuola. Qualche anziano si avvicina al muretto della stazione per vedere che succede. Stop. L’incubo si avvera. La polizia fa scendere chi è senza documenti. Una coppia di iracheni con un bimbo si butta sui binari, gli agenti portano via l’uomo in manette e allontanan­o i giornalist­i. «Please, per favore lasciate il treno», chiede una ragazza con l’altoparlan­te. C’è chi scappa. Un padre porta in braccio la figlia sfinita dal caldo: «Così la uccidete!». «Esistono delle regole, l’Europa non può essere ostaggio di un pugno di illegali», ci dice il portavoce del governo Zoltán Kovács. No camp, scrivono sui fogli attaccati ai finestrini. Ma fuori ci sono già i pullman per il campo d’accoglienz­a con le bandiere dell’Ungheria e dell’Europa all’ingresso. Si passa dai tornelli con il badge. Una volontaria ammette che «alcuni sono già fuggiti senza farsi registrare… ma qui intorno non c’è nulla». C’è l’Austria a un soffio. «No camp», a Bicske si resiste barricati sul treno...

A Budapest ancora tende alla stazione, «ci avevano detto: domani Germania. Meno male che siamo rimasti». Un’altra notte di sirene.

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