I centristi agitati Un ostacolo in più sulla strada del nuovo Senato
«Siamo vicini a un risultato positivo...». Nel pomeriggio di ieri Luigi Zanda si è lasciato andare a una dichiarazione assai ottimistica riguardo al destino della riforma costituzionale. Se non che, a stretto giro, il presidente dei senatori del Pd ha aggiustato il tiro, chiarendo che non stava fornendo notizia di accordi imminenti quanto formulando «un auspicio». Segno che la tranquillità ostentata nel governo potrebbe nascondere trabocchetti e trappole.
Prendiamo il Ncd, il piccolo e inquieto partito di governo guidato da Angelino Alfano. I centristi del Senato sono in grandissima agitazione e non ne fanno mistero. Le elezioni amministrative si avvicinano e il dilemma delle alleanze innesca distinguo e smarcamenti: cercare l’abbraccio con Renzi o tornare all’ovile del centrodestra? Alla Camera l’ex ministro Nunzia De Girolamo guarda di nuovo a Berlusconi ed è prossima a dare l’addio ufficiale ad Alfano. Al Senato gli umori non sono meno agitati. Roberto Formigoni, che con il Pd non vuole andare, ha dichiarato al Corriere «noi voteremo una riforma in cui i senatori saranno eletti» e dunque non il ddl Boschi, che non prevede l’elezione diretta. La preoccupazione che anima gran parte del Ncd si può riassumere così: «Se andiamo con Renzi, quanti di noi potrà candidare?». Pochi, è la risposta che si danno tutti. E l’ex presidente del Senato, Renato Schifani, insiste: il nostro posto è a destra.
Il resto del panico lo ha seminato il sondaggio Piepoli di tre giorni fa, che toglieva al Pd 4 punti in caso di alleanza con Ncd. Comprensibile allora che persino un sostenitore delle riforme qual è Gaetano Quagliariello s’incarichi di avvisare gli alleati: «Io voglio che la riforma si faccia, ma l’equilibrio di sistema deve garantire a una forza autonoma, che non è il Pd e non è la Lega, di poter avere un suo spazio». Insomma, Ncd teme di scomparire nell’abbraccio elettorale del Pd e, in uno schema a tre punte Renzi-Grillo-Salvini, le tensioni centrifughe rischiano di produrre ripercussioni sulla maggioranza.
L’unico antidoto all’esplosione del partito di Alfano è una modifica sostanziale dell’Italicum. Come Forza Italia (e la minoranza del Pd) anche il Ncd sogna che un giorno Renzi si alzi e dica «ragazzi, per me il premio di coalizione non è un problema...». Parole, c’è da giurarci, in grado di placare i maldipancia di Formigoni, Giovanardi, Compagna e di tutti (o quasi) i fautori dell’elettività.
Intanto Bersani ha aperto alla ricerca di un’intesa, ma altre ombre potrebbero addensarsi su Palazzo Madama. A fine agosto, senza alcun clamore, la presidenza del Senato ha proceduto al riequilibrio del gruppo Gal nelle commissioni, operazione che ha squilibrato (dal punto di vista del governo) la Affari costituzionali. Per un complicato gioco di caselle la maggioranza rischia di ritrovarsi sotto di un voto: 14 senatori per i «gufi» e 13 per il governo.
Il bivio L’incertezza all’interno del partito di Alfano tra l’abbraccio a Renzi e il ritorno alla vecchia casa del centrodestra