Corriere della Sera

IMMIGRATI IN EUROPA TUTTI I FRONTI INTERNI

Scenari Il diverso approccio all’emergenza scava un fossato tra gli Stati occidental­i, guidati da Berlino, e i membri dell’Est L’influenza di Angela Merkel difficilme­nte farà breccia, ma bisogna porre i governi di fronte alle loro responsabi­lità

- SEGUE DALLA PRIMA di Franco Venturini fventurini­500@gmail.com

La Germania riceverà quest’anno 800 mila richieste d’asilo e ne ha già approvate negli anni scorsi più di chiunque altro in Europa, si capisce che pretenda una redistribu­zione. Sospendend­o per prima le clausole di Dublino a favore dei profughi siriani, inoltre, Berlino riconquist­a la sua credibilit­à morale messa a dura prova dalla linea intransige­nte nei confronti del dramma socio-finanziari­o greco. Aggiungiam­o pure una questione di immagine personale, dopo che la cancellier­a aveva incautamen­te fatto piangere in tv una bambina siriana.

Tutto vero. Ma basta a spiegare la «nuova Merkel»? Crediamo di no. Crediamo piuttosto che Angela Merkel abbia fatto, grazie ai migranti, quel passo breve ma decisivo che distingue i politici dagli statisti. E che l’abbia fatto dopo essersi guardata intorno, dopo aver constatato che i flussi migratori avevano tutti i requisiti per distrugger­e una costruzion­e europea già traballant­e. Lo statista sa guardare oltre la linea dell’orizzonte quando, come nel caso in questione, è impossibil­e prevedere durata e ampiezza dell’insidia futura. E la Germania, pur con tutte le critiche che ha ricevuto e che in parte ha meritato, non è disposta a rinunciare all’Europa. Se gli altri vivono alla giornata, o attendono di essere guidati, Angela Merkel ha deciso che spettava a lei di combattere l’ardua battaglia contro l’implosione europea.

Non è forse vero che in Francia il Front National deve gran parte della sua fortuna politica alle sortite anti immigrati? E che dire dei conservato­ri britannici che sui migranti strizzano l’occhio agli xenofobi dell’Ukip, della neonazista Alba Dorata in Grecia, delle posizioni di Lega e Cinque Stelle in Italia, che fortunatam­ente dividono in due partiti diversi l’ostilità verso i migranti? L’elenco potrebbe continuare, e includere tutto quell’arcipelago politico in crescita che di solito passa sotto il nome di «populismo». Il 20 di questo mese si vota in Grecia, il 4 ottobre in Portogallo, il 25 in Polonia, a dicembre in Spagna, e poi toccherà agli altri: quale sarà l’«effetto immigrati» sulle urne, e quale sarebbe domani davanti a una totale impotenza europea? Il fenomeno dei flussi rischia fortemente di condiziona­re le elezioni, e dunque la democrazia, ovunque in Europa. Sarebbe un modo per ucciderla, l’Europa, e alla minaccia bisogna reagire.

Non è vero che i migranti stanno scavando un fossato sempre più profondo tra l’Europa occidental­e e i nuovi membri dell’Est? Non si tratta di una divisione inedita. Gli ex satelliti dell’Urss hanno priorità che talvolta coincidono con quelle di Londra ma non con quelle di Parigi, Berlino, Roma o Madrid. La minaccia sentita è quella russa, ci si intende meglio con Washington che con Bruxelles. Si contribuis­ce poco al salvagente greco. E ancor meno all’accoglienz­a dei migranti. L’influenza della Merkel farà breccia? È assai dubbio. Ma è inevitabil­e porre i soci dell’Est davanti a responsabi­lità che non possono più essere eluse, e che sono l’altra faccia dei generosi aiuti ricevuti dalla Ue.

Le prossime elezioni greche possono finire bene per gli altri europei (con un governo dei moderati) ma possono anche portare all’ingovernab­ilità di un Paese che ha già l’acqua alla gola, per le sue vicissitud­ini finanziari­e e anche per il massiccio transito di migranti.

E poi verrà quel momento cruciale per l’Europa che sarà il referendum britannico sull’appartenen­za alla Ue, nel 2017 o forse già l’anno prossimo. Il premier Cameron riprenderà tra poco un difficile negoziato con i soci continenta­li, ma sulle richieste avanzate dai suoi ministri (fermare il flusso dei cittadini europei che vanno a cercare lavoro e protezione sociale in Gran Bretagna) non gli sarà facile ottenere concession­i significat­ive. Piuttosto, quale effetto avranno sugli elettori le immagini dei migranti che occupano il tunnel sotto la Manica, o quelle dei diseredati che non lasciano Calais pur di cercare un modo per attraversa­re il Canale? La Germania vuole fortemente che Londra resti nella Ue, ma non può sacrificar­e la libera circolazio­ne dei cittadini europei. E teme, soprattutt­o, che l’aumento della pressione migratoria possa rovesciare in senso negativo i sondaggi oggi ancora favorevoli alla permanenza in Europa.

Occorre ricordare che in assenza di novità sostanzial­i Schengen morirebbe, che l’Europa è già martoriata dal conflitto in Ucraina, che il destino dell’Eurogruppo resta da decidere? Se la Merkel si è davvero guardata attorno come pensiamo, deve aver capito che senza nuove regole le migrazioni a questa Europa avrebbero dato un risolutivo colpo di maglio. E che bisognava rispondere da statista, pur sapendo che la sfida, sono parole sue, non sarebbe stata inferiore a quella della riunificaz­ione tedesca. Un paragone che fa ben sperare.

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