I SUGGERIMENTI DELLA STORIA SULLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
Caro direttore, Sabino Cassese, nell’editoriale pubblicato nelle pagine sul Corriere della Sera il 24 agosto scorso, ha individuato i temi principali sui quali dovrebbe incidere l’azione del governo per riformare giustizia e magistratura: il Csm, dominato da gruppi e correnti, l’alto numero degli avvocati, l’elevato numero dei procedimenti in Cassazione, l’eccessivo ricorso alla carcerazione preventiva, i troppi magistrati in politica e le continue esternazioni, la tendenza di Procure e Corti a dettare l’agenda della politica, l’inadeguatezza nel contrasto alla criminalità organizzata, la funzione impropria assunta nella società civile dal sistema giudiziario, lo smodato ricorso alle intercettazioni e la loro incontrollata diffusione e da ultimo la necessaria separazione delle carriere.
Tutto sbagliato? A leggere Armando Spataro (sul Corriere della Sera del 27 agosto) parrebbe di sì. Si tratterebbe di «assertive affermazioni» determinate da incrostazioni di «anni difficili». Non esisterebbe la necessità di riformare la magistratura.
A parere del procuratore i magistrati italiani sono infatti i più produttivi d’Europa, le carriere politiche e le esternazioni sarebbero solo eccezioni patologiche, le intercettazioni sarebbero irrinunciabili per ogni «delicata indagine», l’indipendenza dei pubblici ministeri, l’obbligatorietà dell’azione penale e la possibilità di interscambio di carriere tra giudici e pubblici ministeri «fanno di quello italiano un sistema la cui comunità internazionale guarda come esempio virtuoso».
Ogni volta che nel dibattito pubblico si leva una voce indipendente che ha il coraggio di denunciare i capisaldi su cui si è fondato, tra l’altro, lo sbilanciamento tra i poteri dello Stato, si assiste a immancabili reazioni corporative fingendo di ignorare che democrazie costituzionali di Paesi civilissimi come la Francia, la Germania e la stessa Spagna hanno ordinamenti che assegnano una diversa collocazione ordinamentale al ruolo del pm e dove il rapporto tra lo svolgimento di funzioni giurisdizionali e attività politica del magistrato trovano preclusioni nell’ambito di una disciplina rigorosa.
Quanto all’obbligatorietà dell’azione penale è uno sproposito ritenere che in questo Paese venga effettivamente osservata. Chissà poi a cosa si riferisce
il procuratore di Torino quando pensa di risolvere i problemi della giustizia eliminando «inutili formalismi»; sarebbe bene comprenderlo perché la forma è garanzia dei diritti dei cittadini. Non è pensabile poi che all’eccessiva durata del processo si possa rispondere aumentando i termini di prescrizione, trasformando una durata eccessiva in un processo infinito.
Gli argomenti di Cassese vengono archiviati da Spataro «come una vecchia lista di presunti vizi dei magistrati». Si tratta, al contrario, di temi fondamentali sui quali si deve interrogare chi intenda occuparsi di una vera riforma della giustizia. E se è vero che i problemi del sistema giudiziario sono rimasti irrisolti anche per l’incapacità della politica di porvi mano, è anche vero che ogni tentativo di riforma del sistema giustizia, non suggerito o apdi poggiato dalla magistratura è stato accolto quasi come un atto eversivo perché la magistratura non sempre gradisce che politica e società civile si occupino di riforme che la riguardano.
Fra queste Cassese ha affrontato anche il tema della separazione delle carriere, fisiologica attuazione dell’articolo 111 della Costituzione, anche perché «accusa e giudizio sono mestieri diversi che richiedono preparazione e professionalità differenti».
Speriamo che anche Cassese non venga accusato di attentare all’autonomia e all’indipendenza della magistratura e che si colga invece che la disciplina ordinamentale della magistratura è un tema che riguarda tutti ed è esposto ai suggerimenti della Storia. Presidente dell’Unione
camere penali