«Quell’ultimo giorno di Rabin Il mio film è un atto d’accusa»
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Trio Da sinistra Odessa Young, Sue Brooks e Radha Mitchell al Lido per «Looking for Grace» Insieme Il regista Cary Fukunaga con il protagonista del suo «Beasts of No Nation» Abraham Attah con un attore. Rabin aveva già un’aura attorno a sé, ho costruito il film attorno alla sua assenza, come un grande buco nero. Ma ritroviamo la sua integrità e semplicità, i suoi modi schietti. D’altro canto, non mi sono concentrato sul killer. In Israele siamo abituati a confrontarci con la violenza quotidiana. Non volevo mitizzare la Storia, ho preferito comprendere piuttosto che promuovere la speranza di un futuro migliore. La fine di Rabin rivelò un mondo fosco e minaccioso che rese possibile la sua tragica morte. La sottocultura di odio riempita da una retorica isterica, la paranoia e gli intrighi politici, i coloni per cui la parola pace significa tradimento, i rabbini estremisti che condannarono Rabin invocando un oscuro ruolo del Talmud, il testo sacro dell’ebraismo».
Come ha lavorato con gli attori?
«Li ho coinvolti fin dalla fase della scrittura. Ho studiato filmati d’epoca e contemplato come trasporli in una forma narrativa cinematografica. La sfida del film era come trovare il giusto mix tra messinscena (in cui abbiamo usato le esatte parole pronunciate nell’inchiesta) e materiale d’archivio, che è talmente potente da non desiderare di ricrearlo. Ho anche utilizzato interviste a Shimon Peres, che era ministro degli Esteri di Rabin, e alla vedova Leah. Ho fatto questo thriller politico come cittadino israeliano, prima che come regista. Uscirà il 4 novembre, nel ventennale dell’omicidio, nell’Auditorium della Israel Philharmonic Orchestra, a 200 metri dal luogo della morte».
L’anno prima di essere ucciso, Yitzhak Rabin fu insignito (insieme con Yasser Arafat e Shimon Peres) del premio Nobel per la Pace. Top La supermodella brasiliana di «Victoria’s Secret» Alessandra Ambrosio