Corriere della Sera

La marcia dei migranti verso Vienna

A migliaia sono partiti da Budapest a piedi, lungo ponti e autostrade: un itinerario di 250 chilometri

- Di Maria Serena Natale

Dal mattino i capibanda fanno il giro della tendopoli a convincere tutti. Non vi faranno passare, lo sapete? «Ci proviamo». Da Budapest a Vienna, 250 km a piedi.

Prima di mettersi in marcia s’inginocchi­ano. La strada la sa il Gps, destinazio­ne Vienna, chilometri 250. A piedi. C’è un sole che spezza e nessuna certezza di passare il confine ma bisogna andare. Farla finita con la polizia, la paura, il silenzio, questo eterno non sapere. A Budapest la notte non si dorme, nel sottopassa­ggio della stazione le luci restano sempre accese. Di giorno all’ombra fa freddo e al sole troppo caldo, niente bagni, niente acqua corrente, niente acqua, niente di niente. Dicevano che l’Europa era una grande casa, non è così che se l’erano immaginata. Profughi, rifugiati, richiedent­i asilo, migranti, migliaia in cammino. Non hanno le carte in regola, chi ha il passaporto non ha il visto, ma devono andare. Ne abbiamo visti di esodi contempora­nei, scene bibliche di popoli perseguita­ti, come gli yazidi in fuga dall’Isis. Ma era Iraq, Mesopotami­a, deserti di mille anni fa. Ora l’esodo è nel cuore d’Europa.

In testa al corteo ci mettono il nonno in sedia a rotelle, dietro un ragazzo senza una gamba e con le stampelle. Si prestano alla fame delle telecamere perché la loro è più forte. Ci sono bambini minuscoli storditi dal caldo, i padri li proteggono con asciugaman­i e cappucci di felpa. Le donne hanno sguardi obliqui sotto il velo. Rubano l’anima, tutte queste foto e riprese ma loro si lasciano alle spalle anche il pudore nel fiume che mescola tutto, età, sesso, lingua, religione, istruzione e stato sociale.

Dal mattino presto i capibanda fanno il giro della tendopoli della stazione Keleti, a convincere gli uomini, a spronare le donne. Non vi faranno passare, lo sapete? «Ci proviamo, noi ci proviamo. Sai che non abbiamo sapone, non abbiamo vestiti?». Avete un’idea di quanto ci metterete? «Arriveremo prima o poi, inshallah». Preparano zaini e fagotti, si radunano in piazza. Appuntamen­to alle 13, neanche aspettano l’ora esatta e partono. Si spronano a vicenda, si tengono per mano, «avanti!».

Non vogliono lasciare le impronte, non vogliono legare il loro destino a un Paese che non li vuole. E che sta perdendo la calma. Il premier nazionalis­ta Viktor Orbán lancia alla radio l’allarme: «Arriverann­o a milioni, saremo una minoranza nel nostro stesso Paese, l’onda musulmana sull’Europa cristiana». Sotto assedio, chiamata alle armi. Il Parlamento approva lo stato d’emergenza ma non mette insieme i due terzi per mandare i soldati al confine. Per ora solo zone di transito per filtrare gli ingressi e criteri più rigidi per esaminare le richieste d’asilo. La destra violenta di Jobbik scalpita, ieri i

primi tafferugli con gli accampati rimasti a Keleti. Gli agenti sfilano con caschi e manganelli, la tensione sale.

Sul treno-trappola di Bicske, lì sì che è stato assedio. Quelli che giovedì l’hanno preso speravano di andare in Germania e invece si sono fermati in mezzo ai girasoli, quaranta chilometri a ovest di Budapest. Qualcuno ha accettato di farsi registrare nel vicino centro di accoglienz­a ma la maggior parte ha passato la notte a bordo e al mattino è tornata a gridare « No camp». «Lo so come sono quei campi, ci sono stato — dice al

Corriere Basel, siriano di Idlib, ingegnere 27enne — solo insetti e sporcizia. Qualsiasi cosa è meglio che finirci dentro». Dal treno nel pomeriggio parte la fuga. In trecento rompono il blocco delle forze dell’ordine e si lanciano di corsa verso l’aperta campagna. Un afgano di 51 anni cade sui binari e muore, circostanz­e da chiarire. Altri sessanta scavalcano la cancellata del campo d’accoglienz­a. E scappano a centinaia anche a Sud, dal centro di Roszke vicino al confine con la Serbia dove corre il muro di filo spinato di 175 chilometri e dove la settimana scorsa gli agenti hanno usato spray urticanti contro donne e bambini. Oltre 3.300 gli ingressi nel Paese registrati nelle ultime 24 ore, 50 mila ad agosto. Arrivano da Siria, Afghanista­n, Pakistan.

Scarpe da ginnastica e infradito, buste di plastica con i materassin­i arrotolati. Figli aggrappati alle gonne lunghe delle madri per non perderle. Attraversa­no Buda e Pest bloccando il traffico tra clacson e sguardi increduli. Colgono di sorpresa persino la polizia che ci mette un po’ a raggiunger­li e finisce per camminare con loro. I capi dirigono il flusso, improvvisa­no un servizio d’ordine per tenere la marcia il più possibile ai bordi della strada. Indicano la direzione agitando le braccia. C’è chi resta indietro a distanza, chi recupera un cappellino giallo con la visiera, chi si fa regalare un ombrello da pioggia e si perde a guardare gli uccelli, loro sì, in volo.

«Mama Merkel», pensaci tu. Sventolano foto della cancellier­a tedesca che parla di «dovere morale» spostando la discussion­e sul piano dove non si discute più, mentre l’Europa litiga con l’Ovest che vuole quote vincolanti e l’Est non ci pensa nemmeno. Attraversa­no il ponte sopra il Danubio, verso le autostrade M1 che sfilano verso il confine con l’Austria. Quei ponti sul Danubio che non è blu, dove si agganciava­no gli esplosivi durante la guerra nell’ultima battaglia tra

Merkel e bandiere Non vogliono lasciare le impronte a un Paese che non li vuole. Portano poster della Merkel

l’Armata rossa e la Wehrmacht, crollati e ricostruit­i, i ponti di Sándor Márai… Come questo dedicato a Elisabetta imperatric­e d’Austria, regina d’Ungheria, di Croazia e Boemia… la principess­a Sissi, uccisa dall’anarchico Lucheni nel 1898 a Ginevra. Passano sopra la Storia alzando la bandiera con le stelle dell’Europa unita dove hanno trovato solo miseria e paura. Ascoltano musica con gli auricolari, scherzano, la paura non è passata. A sera hanno percorso una ventina di chilometri. È buio quando Orbán decide di mandare pullman per portarli al confine, «mettono a rischio la sicurezza degli ungheresi». In fila sulla corsia d’emergenza cercano posti ai lati dell’autostrada dove accamparsi per riposare qualche ora nella notte e riprendere la marcia all’alba.

Buon viaggio e buona fortuna. Abbassano la testa, passano la mano sul cuore.

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In autostrada La marcia dei migranti da Budapest a Vienna: la decisione di partire ieri mattina ha coinvolto migliaia di profughi e richiedent­i asilo
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