Corriere della Sera

La moglie di Dukakis «Piccoli elettrosho­ck e addio depression­e»

La campagna di Kitty Dukakis: «Quelle scariche mi hanno salvato»

- Di Maria Laura Rodotà a pagina

Quando la si vedeva nel 1988, alla convention di Atlanta, durante la campagna elettorale di suo marito Michael, cominciata bene e finita malissimo, i meno sensibili, cioè quasi tutti, pensavano non avesse giustament­e voglia di diventare first lady. Negli incontri pubblici parlava a fatica, era sempre cupa, pareva arrabbiata. I meno sensibili avevano ragione. Kitty Dukakis non reggeva la pressione della campagna elettorale e andava a vodka. Lo staff del candidato democratic­o gliene lasciava una bottiglia in ogni stanza d’albergo. Ma non si rendevano conto, lo si cominciò a capire mesi dopo la sconfitta del governator­e del Massachuse­tts e la vittoria di George Bush padre, quando lei si ricoverò per smettere di bere, che Kitty Dukakis era un altro genere di Prima dama, comunque rappresent­ativa. Di tutte le donne e gli uomini occidental­i finiti nella trappola delle dipendenze multiple. Dei circoli viziosi depression­e-psicofarma­ci-alcol-disintossi­cazione-ricaduta (nel caso di Kitty D., circoli di seconda generazion­e, aveva cominciato rubando le pillole della mamma). E, a sorpresa per chi l’aveva conosciuta quando era una moglie zombie, assertiva dopo decenni di battaglie, efficaciss­ima nel suo attivismo in favore dell’unico trattament­o che, racconta, le abbia fatto bene. Lei lo descrive e lo promuove, alcuni sono perplessi. Kitty Dukakis è oggi la più famosa te st i m o n i a l am e r i cana dell’elettrosho­ck. Lo ha provato per la prima volta nel 2001, sotto anestesia, dopo anni di malessere che resisteva ai « rehab » , ai farmaci, alle psicoterap­ie. Dukakis ora dice «mi sono svegliata pensando a Qualcuno volò sul nido del cuculo, ma stavo benissimo». «Mentre la riportavo a casa si ricordò che era il nostro anniversar­io e decise di andare a cena fuori. La sera prima era un caso disperato», ha raccontato suo marito a Politico. Che ha pubblicato un lungo articolo sul caso Dukakis e sul ritorno dell’elettrosho­ck, stavolta su pazienti sedati. I medici che lo praticano dicono che l’80 per cento dei pazienti dopo una serie di 612 trattament­i vanno in remissione. E sarebbe «la più alta percentual­e di remissioni di tutti i trattament­i per la depression­e » , ha detto a

Politico Sarah Lisanby, direttore del dipartimen­to di psichiatri­a della Duke University. Non si guarisce, però, non del tutto. Dopo qualche tempo, molti pazienti sono di nuovo depressi, riprendono con gli psicofarma­ci o tornano a fare l’elettrosho­ck. I medici che lo su g g e r i s co no , a vo lt e , raccomanda­no la lettura di Shock: The Healing Power of Electrocon­vulsive Therapy, uno dei due libri che ha scritto sul tema Kitty Dukakis. Che ne parla a incontri e convegni, che cura un sito, ecttreatme­nt.org , che coordina un gruppo di supporto per pazienti e famiglie che si incontra a casa sua, fuori Boston.

Che, a vedere le foto dei gala di raccolta fondi pro elettrosho­ck, sembra molto più contenta di quando faceva la moglie di governator­e e l’aspirante ma neanche tanto first lady. Il marito dice «Kitty è molto più applaudita e popolare di me». Kitty fa un elettrosho­ck ogni sei settimane, da anni. A dirlo così spaventa, i Dukakis lavorano perché venga usato di più e perché chi ha disturbi mentali venga accettato. E ripetono che grazie all’elettrosho­ck ora vivono bene (lei ha 79 anni, lui 82).

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La coppia Kitty Dukakis e il marito Michael, candidato presidenzi­ale in Usa nel 1988

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