I piccoli siriani in fuga accolti e ospitati in Italia? Oggi sono soltanto 65
Sessantacinque bambini siriani fuggiti dai Paesi in guerra. Come Aylan, annegato nel mare della Turchia mentre cercava di raggiungere la Grecia per poi trasferirsi in Canada con la famiglia. La sua foto, riverso sulla spiaggia, ha fatto il giro del mondo. E brucia.
Tanti altri coetanei che parlano la sua stessa lingua e hanno vissuto gli stessi orrori ce l’hanno fatta: in 65 sono stati accolti in Italia. «Troppo pochi, la politica di sostegno ai migranti minorenni che provengono dalla Siria va cambiata», accusa Michela Brambilla, presidente della Commissione infanzia della Camera.
I dati dei piccoli stranieri non accompagnati ospitati nelle nostre strutture secondo la deputata parlano chiaro: «Bisognerebbe fare di più per i connazionali di Aylan, non basta la compassione del premier Renzi». Al primo posto dei minorenni segnalati per cittadinanza figura l’Egitto (1975) seguito da Albania (1.137), Eritrea (953) e Gambia (868). Poi altre quattordici nazionalità. La Siria è in penultima posizione, con lo 0,7% dei minori stranieri giunti senza genitori. In fondo, al ventesimo posto, c’è il Pakistan.
I numeri sono frutto di un’elaborazione della Commissione infanzia. Brambilla ne ha tratto spunto per una mozione che presenterà al governo dove si chiede di «invertire la rotta e di dare accoglienza più ampia ai giovanissimi vere vittime della guerra. L’Italia spende molto, si dà molto da fare ma spende male» osserva.
Alla fine dell’anno potrebbe arrivare a 2,5 miliardi il costo sostenuto dagli apparati militari e civili per salvare i migranti e distribuirli nei centri.
Ma il sistema, insiste la deputata, presenta scompensi gravi: «È elevatissimo il numero dei migranti cosiddetti economici, cioè di persone che non hanno diritto alla protezione umanitaria. Dobbiamo domandarci quante risorse investite per mantenere chi non ha i requisiti potrebbero essere utilizzate a favore dei veri bisognosi. Si potrebbe recuperare un miliardo l’anno. Egitto e Albania non si trovano certo nelle stesse condizioni della Siria». Lo stesso si potrebbe dire di «senegalesi, marocchini e ivoriani che provengono da Paesi considerati tra i più stabili del continente africano».