Il Papa e Putin, quell’intesa sulla Siria (per i cristiani)
asse tra papa Francesco e Vladimir Putin contro il terrorismo islamico non è una novità. È affiorato esattamente due anni fa, quando il pontefice contribuì a scongiurare un intervento armato occidentale contro la Siria, appellandosi a Mosca e a Washington. È stato confermato dal rifiuto di aderire alla strategia di isolamento del Cremlino perseguita da Stati Uniti e Ue dopo l’invasione russa della Crimea tra gennaio e febbraio del 2014. E si ripropone adesso che si tenta di dare corpo ad una coalizione internazionale per arginare il terrorismo sunnita dello Stato Islamico. D’altronde, Vaticano e Federazione russa condividono l’analisi sugli errori dell’Occidente nelle cosiddette Primavere arabe; l’esigenza di difendere il regime siriano di Assad come «male minore» in funzione anti Isis; e i vantaggi che questo può comportare nei rapporti con una potenza regionale come l’Iran. Lo schema non entra necessariamente in rotta di collisione con gli Usa: di certo, non con Obama, che il 15 luglio scorso ha detto che la Russia «è stata d’aiuto» per siglare gli accordi nucleari con Teheran. In fondo, anche nel 2013 la mediazione di Francesco è stata preziosa al presidente Usa per sconfiggere la pressione di chi nel Congresso voleva i bombardamenti. Ma si indovina qualcosa di più di un’alleanza intermittente col Cremlino. Jorge Mario Bergoglio, l’uomo dell’«Occidente estremo» che in realtà è Sud australe, condivide con Putin un giudizio severo sulla politica europea e statunitense nell’area mediorientale. Ritiene che alla base di quanto accade ci siano gli errori commessi dalla guerra in Iraq in poi; e che il massacro delle minoranze cristiane ne sia l’effetto collaterale più preoccupante, per la Chiesa cattolica. Francesco vede in Putin, con tutti i suoi limiti, un difensore di queste comunità, siano esse ortodosse o cattoliche. E il presidente russo si sforza di accreditarsi come una sorta di «zar cristiano» che grazie ai legami militari ed economici in quell’area, può svolgere il ruolo che l’Occidente non sembra più in grado di avere. In questo dialogo, il Papa si pone non come «braccio morale» di alleanze imperniate sul dominio statunitense, ma come mediatore deciso a smaltire i residui della Guerra fredda. Lo fa in Occidente e in America Latina. Per questo è visto come un interlocutore, da Mosca all’Avana.