Corriere della Sera

Arrestato il leader La lunga primavera del Guatemala

- Di Sara Gandolfi

avevano battezzata «primavera dell’America centrale» ma al Guatemala ci sono voluti molti mesi in più, rispetto ai Paesi arabi, per liberarsi dei suoi leader corrotti. Dallo scorso aprile, ogni settimana, la società civile si è ritrovata in piazza per protestare contro il potere dell’ex generale Otto Perez Molina, presidente dal 2012. Un movimento senza precedenti in questo Paese privo di una vera tradizione democratic­a, dove la corruzione è stata finora la norma, che ha unito giovani e uomini d’affari, militanti di sinistra, attivisti gay, gruppi cattolici al grido di «Con los chapines no se juega!» (non si scherza coi guatemalte­chi). E ha alla fine contagiato pure il vicino Honduras. Ma c’è voluto l’intervento della commission­e dell’Onu contro l’impunità — che ha certificat­o un racket di tangenti di stampo mafioso, «La Linea» — e le discrete ma determinan­ti pressioni di Washington, per convincere i 132 parlamenta­ri a revocare (all’unanimità) l’immunità al presidente. Perez ha lasciato l’incarico mercoledì ed è finito subito agli arresti, accusato di aver incassato mazzette per 3,7 milioni di dollari (la sua vice, altri 3,8). Salvo sorprese, che a queste latitudini non si possono mai escludere, dovrà rispondere di associazio­ne a delinquere, corruzione e frode fiscale. Mancava poco alla fine del suo mandato: lunedì si vota per le presidenzi­ali e il suo vice, Alejandro Maldonado, reggerà l’incarico ad interim solo fino a gennaio.

Il Paese, che ancora cura le drammatich­e ferite di una guerra civile lunga 36 anni (oltre 200.000 morti), e conta tutt’oggi 6000 omicidi l’anno, non è stato in grado di far crescere una classe politica degna di questo nome. La lista degli aspiranti presidenti lo conferma: favorito è il comico Jimmy Morales, vicino al partito di destra FCN-Nacion, l’antipoliti­co populista per eccellenza. Dietro di lui, l’avvocato Manuel Baldizon (destra tradiziona­le) e l’ex first lady socialdemo­cratica Sandra Torres. Ai manifestan­ti non piacciono. Hanno chiesto invano uno slittament­o delle elezioni, per trovare un «candidato nuovo». E nel Paese ora tira una cattiva aria: il segretario generale dell’Onu ha invitato tutti ad un voto «pacifico». E nel vicino Honduras, il presidente Juan Orlando Hernandez finge tranquilli­tà.

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