SOLO UNA RIVOLUZIONE LEGALE PUÒ SCONFIGGERE IL CAPORALATO
La storia di Paola Clemente, morta di fatica nelle campagne di Andria per una paga miserevole, ha portato alla luce una malattia sociale mai estinta L’omertà della gente e la complicità delle imprese sostengono il sistema degli intermediari. Bisogna restituire dignità al lavoro, ma non servono interventi a pioggia
Si scrive «paga di piazza», si legge (ancora) questione meridionale. Ci racconta ben più di cento trattati di sociologia la storia di Paola Clemente, morta di fatica nelle campagne di Andria, in Puglia, per guadagnare 27 euro al giorno (sì, ventisette). Ci spiega come in Italia più si scenda a Sud e più s’abbassi la retribuzione reale percepita dai più deboli, le donne e gli immigrati, diventando infine sottosalario, paga di piazza, appunto, stabilita dai caporali e applicata, ad esempio nelle campagne pugliesi, a otto rapporti di lavoro su dieci.
Ci dice molto quella busta paga, pubblicata ieri dal Corriere: Paola, addetta all’acinellatura dell’uva (lo scarto degli acini più piccoli per migliorare il grappolo), era costretta a subire un carico di trattenute che finiva per portare quasi tutto il suo stipendio in altre tasche. Quali? La procura di Trani accenderà infine un faro sul groviglio di agenzie interinali e mediatori travestiti, distinguendo pesi e responsabilità; ma, dietro questa come dietro altre mille storie simili e mai raccontate, sappiamo da sempre cosa ci sia: l’illegalità diffusa al Sud come una tabe, l’assenza di controlli che corrisponde anche all’assenza di denunce e, infine, alla mancanza di speranza che qualcosa possa cambiare sul serio.
Gaetano Salvemini (che era pugliese di Molfetta) sapeva che è la speranza a tenerci vivi: «Bisogna essere santi per vivere tutta una vita di sacrifici disperati. E anche il santo, alla fine, abbandona la vita del suo tempo e se ne va nel deserto». Beh, sotto il Garigliano i santi sono spariti da un pezzo e la desertificazione, delle fabbriche come delle coscienze, avanza. Una legge contro il caporalato, fa notare Gianna Fracassi della Cgil, «è infine passata dopo battaglie interminabili, ma la responsabilità non è mai stata estesa all’estremo capo della filiera, alle aziende che il caporalato sfruttano». Proprio nelle prossime settimane, certo anche per effetto della storia di Paola Clemente, si andrà a una revisione (e un inasprimento) della norma. Ma la mancanza di legalità resta il vero gap che sconta il Sud.
La crisi dell’Ilva, per dire, narrata talvolta come scontro tra economia e oltranzismo giudiziario, è stata soprattutto crisi di legalità, pluridecennale umiliazione delle regole e corruzione del ceto politico locale: e ha mandato in fumo dieci miliardi di euro di Pil in tre anni, secondo i calcoli della Svimez per conto del Sole 24 Ore.
Proprio da un rapporto Svimez, a fine luglio, sono arrivati dati che hanno trasformato un’immagine paradossale — il Mezzogiorno d’Italia come la Grecia — in una prospettiva concreta e agghiacciante. Con una crescita largamente inferiore a quella greca, un cittadino su tre a rischio povertà (contro uno su dieci al Nord), una disoccupazione selvaggia e il paradosso di non riuscire neppure a spendere miliardi di fondi strutturali per la pura incapacità della classe politica di programmare e fare sistema, il Mezzogiorno si colloca in cima alle emergenze nazionali rischiando, ancora secondo Svimez, «il sottosviluppo permanente».
Renzi, che aveva semplicemente omesso di nominarlo nel suo discorso di insediamento al Senato il 24 febbraio 2014, ha dovuto precipitosamente occuparsene alla sua maniera, bandendo il «piagnisteo» come elemento anti-crescita, lasciando intravedere un tesoro da 80-100 miliardi di risorse europee vecchie e nuove e comunque da sbloccare e, infine, promettendo un masterplan (in inglese il messaggio colpisce di più, come il Jobs act) frutto di una grande discussione, dentro il partito e con i governatori pd. Era agosto. I risultati della discussione sarebbero previsti per metà settembre. Ma domani, a Potenza, si svolgerà intanto un incontro politicamente assai curioso. Attorno a Susanna Camusso, alla festa della Cgil lucana, si riuniranno per la prima volta tutti i governatori delle Regioni meridionali (tutti pd e non certamente renziani doc, Emiliano e De Luca in testa). La Cgil non nasconde l’ambizione di fare dell’incontro, « Laboratorio Sud», un tavolo permanente. Insomma di andare ad attaccare il premier ormai nemico laddove s’è dimostrato fin qui più debole, facendo da mastice tra i governatori meridionali sul tema più sensibile: il lavoro.
La corsa verso il Sud è ottima cosa a due condizioni. Che non sia tattica d’una stagione (forse) pre-elettorale. E che non si traduca in una manciata di benefici a pioggia. Già l’idea del governo di annacquare i vincoli di bilancio delle Regioni premierà alla fine le meno virtuose e le più indebitate (in buona parte, purtroppo, al Sud). Per scacciare l’incubo greco, il Mezzogiorno non ha bisogno di regalie ma di una rivoluzione di legalità. L’esercito di maestri vagheggiato da Gesualdo Bufalino va accompagnato, intanto, da legioni di carabinieri. Finché la speranza non sia più segno di santità ma di normalità, persino nei campi di Andria.
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