Sir Paul Smith: perché non bisogna copiare
Dai reali a Tony Blair, la lunga storia del baronetto «I giovani hanno paura di essere innovativi»
Lo stile
Collezione Paul Smith Autunno/ Inverno 2015: camicia oversize, pantalone largo e tracolla
Paul Smith teenager quando sognava una carriera da ciclista professionista. Poi una frattura gli impedì di realizzare il suo sogno
Con la moglie Pauline Denyer negli anni 70
Il designer britannico
Un modello della collezione maschile Autunno/ Inverno 2015: cappotto destrutturato classico dello stile Paul Smith parlati alla vigilia dell’apertura della nuova boutique, MP Massimo Piombo: un angolo di shopping che non ha eguali, a Milano, in piazza San Marco 4, che era niente meno che lo studio di Gae Aulenti. Pareti blu e grandi piante che avvolgono gli stand e sbucano dai manichini. Giacche e cappotti dai colori di tonalità uniche. Tessuti e tagli come si facevano una volta ma rivisti e corretti per le new generation. Tant’è nel piano meno
Suno dei tre di questo edificio lungo e stretto c’è il guardaroba dell’universitario: capi a prezzi più che accessibili ma con lo stesso touch. E questa è la novità. Perché la nuova avventura dello stilista-imprenditore ligure è quanto di più Massimo Piombo si sia visto sino ad ora: concepita e realizzata nello spirito di un moderno Marco Polo che dai suoi viaggi meravigliosi ovunque nel mondo porta quello che lui pensa essere il ir Paul, che effetto fa, dopo aver iniziato nella moda con le scuole serali, ritrovarsi poi baronetto? «Il titolo di Sir non l’ho neanche messo sui biglietti da visita. E quando arrivò la lettera della regina non ero così sicuro di voler accettare. Al contrario, nel mio staff erano euforici, allora ho pensato ai miei genitori: oh sì, sarebbero stati orgogliosi di me! Così ho accettato il titolo e ne sono felice. Ma non cambia nulla di quel che sono sempre stato: ho iniziato facendo un po’ di tutto, dalle consegne ai lavori di piccola sartoria. E le scuole serali certo, dove ho imparato a costruire bene le giacche. La prima collezione però l’ha disegnata mia moglie Pauline (Denyer), che aveva fatto il Royal College of Art. Adesso preferisce dedicarsi a pittura e tango argentino», sorride.
L’understatement di Paul Smith — giacca affusolata su camicia a fiori e fisico atletico a dispetto dei 69 anni — è proverbiale. Eppure, da quando aprì il primo shop a Nottingham nel 1970, Sir Paul ha vestito tutta la Londra che conta. Rockstar, banker e gli inquilini del numero 10 a Downing Street: dal laburista Tony Blair al Tory David Cameron (e signora). E molti Royals. «Non amano la pubblicità a Buckingham Palace, ma è vero che la Duchessa di Cambridge e i principi William ed Harry hanno indossato miei abiti», confessa, dopo un po’ di insistenza. Dopo la Swinging London cosa è cambiato? «La Londra di quegli anni era piena di leggerezza, forse perché i ragazzi di allora erano la seconda o terza generazione del secondo dopoguerra e si erano scrollati di dosso il peso di quella stagione. C’era una straordinaria voglia di sperimentare, di provare in tutti i campi, la musica, il design, la moda. Adesso invece...» Invece? «Non c’è più il coraggio di mettersi in gioco. I giovani che entrano nel mondo della moda hanno paura di lanciarsi in qualche cosa di innovativo: forse perché con i social, il giudizio immediato degli altri, fa paura, intimorisce. Ieri ciascuno percorreva la sua strada, oggi tutti imitano un modello. E sognano una sfilata a vent’anni, ma questo lavoro si impara facendo: le scuole sono importanti e a Londra ne abbiamo di ottime come il Central Saint Martin’s, con il British meglio che un uomo oggi dovrebbe avere nel guardaroba.
Corso Como, Excelsior e Rinascente a Milano, Colette a Parigi, Comme de Garcons a Tokyo, Lorenzo a Los Angeles, tutte le più belle boutique al mondo hanno voluto MP. Con la linea Massimo Piombo non era mai successo: «La differenza è stata che nei miei viaggi ho scoperto eccellenze incredibili. Tutto è nato da una frase di Diane Vreeland: “non dimenticate Cappotto blu di tessuto mohair: taglio sartoriale impeccabile Fashion Council che fa molto per aiutarli, ma non basta. Nel mio caso, imparare dal lavoro ha assicurato anche longevità al mio business». Dal 1970, un bel viaggio... «È la longevità imparata dal lavoro. Mi ha insegnato che nella moda non ci si può mai fermare. Non solo: mai circondarsi di “servitori”, ma di persone di talento capaci di essere critiche, se serve. Poi, bisogna confrontarsi sempre con i giovani perché hanno uno sguardo fresco».
A proposito di geopolitica della moda, che ne pensa della battaglia tra Parigi, Milano e le tante nuove fashion week, dall’India alla Cina?
«Questo moltiplicarsi di appuntamenti è troppo oneroso per gli addetti ai lavori, specie i giovani. E distrae energie dal nostro vero mestiere: creare moda».
E Milano pronta alla settimana della moda di settembre, quale carta gioca nel risiko?
«Milano per me è sempre stata importante, anche se sfiliamo a Parigi. Perché qui presentiamo le novità ai buyer italiani che non vanno a Parigi e a quelli che arrivano da Belgio, Olanda...». Vero che produce quasi tutto in Italia? «Sì, i completi da uomo in Veneto, la camiceria a Treviso e Firenze. I tessuti li procuro nel Biellese, le scarpe sono made in Marche».
Created in London, made in Italy. Mi spiega la frase «classic with a twist» con la quale la stampa British definisce lo stile Paul Smith?
«Semplice, credo che una giacca si possa indossare anche con una polo o una t-shirt».
I negozi Paul Smith, a partire da quello in Floral Street, sono Wunderkammer piene di memorabilia. E hanno ispirato 10 Corso Como a Milano e Colette a Parigi. Come è nata l’idea?
«Il mio primo era di 3 metri quadri, e così per rompere il ghiaccio quando entrava un cliente, ho iniziato a collezionare curiosi oggetti... e nel tempo sono diventati parte del mio mondo». l’Ungheria”. Mi sono chiesto perché e sono andato a scoprirlo. Trovando un atelier di teatro e alta moda donna al quale ho ordinato alcuni capi. Da lì ho trovato tessuti in Polonia per il mohair e in Austria per l’alpaca e la seta a Lione e i bottoni in Olanda. Ho creato un mondo che ha portato un prodotto che in giro non c’è. Poi il mio atteggiamento, i miei colori, la ricerca ed ecco la magia e il successo di MP». La “bottega” di conseguenza: «Una scelta istintiva. Dove sono concentrate le mie follie e le mie ossessioni, che sono la conseguenza delle emozioni di cui vivo».