Il pittore francese fu tra gli animatori del «Gruppo Zero» di Düsseldorf Addio ad Aubertin, la passione del rosso
Se ne è andato quasi in punta di piedi. Lasciandoci in regalo i suoi bellissimi rossi monocromi. Bernard Aubertin era nato nel 1934, a Fontenay-aux-Roses, un comune francese nel dipartimento dell’Hauts-de-Seine. Ma si era trasferito e viveva a Reutlingen, un’antica città tedesca situata nel Land del Baden-Württemberg. Aubertin è morto alle ore 11 di lunedì 31 agosto e quasi nessuno se n’è accorto. Il laconico annuncio è apparso sulla pagina Facebook «Archivio opere Bernard Aubertin».
Dal 1961 fu tra gli animatori del «Gruppo Zero» di Düsseldorf, nato nel 1957 con Heinz Mack e Otto Piene. Ma il vero colpo d’acceleratore nella sua ricerca avvenne nel 1958, grazie all’incontro con Yves Klein. Di fronte ai grandi monocromi di Klein (che ancora non usava prevalentemente quella tonalità di blu che resterà indissolubilmente legata al suo nome) Aubertin restò folgorato. Ebbe l’illuminazione della strada che la sua pittura doveva intraprendere. E istintivamente si legò al rosso, attribuendo a questo colore una potenza primordiale e liberatoria.
Tutta l’avanguardia europea dell’arte smaniava per una totale ridefinizione dei canoni stilistici ed estetici. Nelle opere di Aubertin la potenza cromatica viene moltiplicata dalle tecniche utilizzate e da una sorta di automatismo nella stesura. Il maestro stende e stratifica il pigmento con spatole, il palmo della mano e oggetti quotidiani come forchette e cucchiai. Trasformando l’atto di dipingere in «un’esperienza fortemente fisica». Negli anni seguenti amplifica questa «aura» creando i Tableaux-clous. Delle tavole rosse con chiodi piantati a reticolo, per fondere serialità all’alternanza di luci e ombre.
Nei successivi Tableaux-feu i chiodi vengono sostituiti da fiammiferi che poi vengono accesi. Come altri artisti a lui contemporanei, Aubertin pensa alla combustione come un mezzo per raggiungere un «grado zero dell’arte dal quale ripartire » . Radicalmente. La sua scomparsa lascia un vuoto nel cuore dell’arte contemporanea del secondo dopoguerra. Raccontava spesso di annoiarsi mentre era al lavoro: «Lavorare non mi dà piacere. Ma quando il quadro è finito, nonostante la fatica e l’energia impiegate per realizzarlo, davanti al risultato mi sento pieno di gioia pura».