IL TALENTO DI POSITANO
APPRODO DI ESULI E SOGNATORI DI OGNI TEMPO E UN DESTINO SEMPRE PIÙ LEGATO ALLA DANZA
L’appuntamento Il tradizionale premio agli artisti del balletto quest’anno si arricchisce di un progetto che renderà la cittadina della Costiera, amata da
Steinbeck, Bacchelli, Nijinsky, un centro di documentazione dell’arte tersicorea
Bisogna immaginarsi il colpo di cannone e le torri di guardia di Positano, che parlano tra loro per avvisare del pericolo, dell’arrivo delle navi saracene. E la popolazione che risale i costoni per rifugiarsi al riparo dei monti. Positano è anche questo, quelle sue scale che portano dal monte al mare. E dal mare lassù in alto. Un viaggio e il suo contrario. Forse è per questo che Cornelis Escher ha scelto anche questa città per i suoi disegni. Per la sua litografia del 1934, «Houses of Positano». Lui che ha tracciato scale dove è difficile capire se gli uomini che le attraversano stiano salendo o siano nell’atto di scendere. Forse è per questo che un luogo come la città che tanto colpì John Steinbeck è diventato, nella sua lunga storia, riparo per gli esuli: come non ricordare lo scrittore tedesco Walter Meckauer o l’azero di Baku, proveniente da Costantinopoli, Essad Bey. Ma ogni nome che si ricorda, ne fa sicuramente tralasciare qualcun altro.
Ci dev’essere una ragione se la danza è diventata una delle anime di questa terra. Non solo perché Leonide Massine la scelse per vivere e Rudolf Nureyev decise di trascorrere qui gli ultimi anni della sua vita. Qui ricordano ancora la premiazione di Alicia Alonso, la ballerina cubana che ha fatto la storia. La danza, appunto. Di case che sono aggrappate alla montagna di una città tutta verticale. Eppure con un’armonia che lo scrittore Riccardo Bacchelli, come ha ricordato Vito Pinto, ha disegnato e colorato, un ambiente realizzato da «muratori anonimi e scolari dei secoli, cercatori pazienti in un terreno caduco... che dalla natura hanno appreso l’arte di porre e distribuire le case e le contrade in modo che del monte seguano e sollevino senza turbarle le linee maestre». Come un movimento di danza.
Di un luogo che è sempre stato un approdo. «Positano — scriveva — fu l’approdo di una gente che aveva per patria la tolda delle navi » . O, più spesso, non aveva più una patria. In quei dedali di viuzze, nella città che forse prende il nome da Poseidone o forse dalla Madonna nera, un’icona bizantina che sarebbe stata restituita dal mare dopo uno dei tanti attacchi saraceni. «Posa, posa», si sentì dire dal mare. Un misto di storia e fede. Anche i pisani, nel 1268, saccheggiarono quello che era uno dei territori della Repubblica marinara di Amalfi. Antiche contese, come quella su Flavio Gioia, considerato l’inventore della bussola. Era di Amalfi o di Positano?
Sembra una gigantesca scala
fatta di case. Da qualunque lato la si osservi. Per Steinbeck era «un posto di sogno che non vi sembra vero finché ci siete ma di cui sentirete tutta la profonda realtà quando l’avrete lasciato». Terra sospesa. Per questo, da Jacqueline Kennedy a Eduardo De Filippo, da Liz Taylor a Picasso, sono stati in tanti a scegliere di trascorrere su questo costone la loro cosa più preziosa: il tempo. Le sinfonie di Igor Stravinskij e i meandri di
Luigi Pirandello. Esuli ancora, come Stefan Andres. Storie intrecciate, come quella del re di Napoli, Gioacchino Murat, che qui decise di realizzare la sua dimora estiva. Lui, l’occupante francese, che riuscì in quello in cui nessun altro era riuscito: abolire il feudalesimo nelle terre del Regno. A suo modo, un sognatore.
Nei racconti si dice che, in qualche modo, Positano sia rimasta vittima dell’avvento del vapore nella navigazione. Terra di vele, di feluche, di capitani di polacche, il carbone che bruciava nei motori delle nuove navi la condannò al declino di potenza marinara ma le ha offerto l’occasione di riprendersi quello che l’eruzione del 79 le aveva tolto. Il suo essere una terra d’ozio. Come la villa che durante i lavori di scavo della cattedrale è stata dissepolta. Tracce dell’epoca romana, segni di un altro tempo che accomuna l’ansia presente della sospensione, del mare. L’unica cosa che non sia verticale in questa terra. Che quando arriva la notte, scriveva ancora Bacchelli, con il suo «silenzio risale i secoli». Eppure dicono che la sua fondazione risalga a una fuga, quella degli abitanti di Paestum che lì si sarebbero rifugiati. Forse è per questo che gli esuli di ogni tempo l’hanno considerata come loro dimora, un luogo nato per proteggere chi cerca un altrove dove ripararsi.