Una nuova idea di impresa culturale
Impresa, giovani, arte, Mezzogiorno. Suona come uno strano innesto di ossimori, specie in tempi di sfiducia e incertezza; ma anche per la delicatezza del momento può essere la scommessa giusta da fare, recuperando finalmente il significato di parole abusate e per questo snaturate: sempre di più chi dice «giovani» evoca un limbo di attesa irresponsabile dimenticando il valore dei fermenti creativi non convenzionali che disegnano la società dei prossimi anni. Costruita all’interno di un festival di danza è una scommessa coraggiosa: invece delle frequenti lamentele sulla cultura negletta, Positano danza confida nel «fare», grazie al laboratorio Positano Young che coinvolge giovani professionisti ( fino a gennaio 2016) nella creazione di un archivio digitale della danza e nella realizzazione di un documentario su Rudolf Nureyev, mescolando competenze diverse acquisite all’Università e in Accademia e attingendo ai materiali dell’archivio Teche Rai. Una lezione utile per chi ancora osserva con sospetto la nuova scala di valori dell’economia emergente, che tende a superare modelli standard da manuale per sperimentare azioni flessibili, si potrebbe dire «a geometria variabile», e quindi capaci di generare valore ibridando saperi diversi. Sarà una risposta alla ricerca di nuove vie per fare impresa (dar voce a un’urgenza creativa senza troppe garanzie sul futuro), da parte di giovani (professionisti non ancora soggetti alla cristallizzazione dei saperi), nel Mezzogiorno (un’area in cui le maglie strette della stasi facilitano l’emersione di nuove idee). Non è un caso, infine, che il progetto metta a fuoco la danza, un comparto di per sé minoritario pur nel sistema culturale che molti, troppi vedono da sempre in crisi endemica. La danza racconta in modo sempre più sofisticato il nostro rapporto con la natura, la civiltà, noi stessi. E risponde con intelligenza al bisogno di rappresentazione del sé che sta declinando l’orizzonte della società di questi anni corruschi e fertili.
Michele Trimarchi insegna «Cultural Economics» all’Università di Bologna
michtrim