Corriere della Sera

Sokurov e la battaglia per l’arte «Nel Louvre c’è la nostra civiltà»

Il regista di «Francofoni­a»: inconcilia­bili le estetiche europee e musulmane

- Giuseppina Manin

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Altro che maestra di vita. «La storia non ci insegna nulla. La storia non conosce né ragione né pietà » sostiene Alexandr Sokurov, regista russo premiato con un Leone d’oro nel 2011 per un Faust visionario, ora in predicato per un altro con Francofoni­a, applauditi­ssimo apologo sul Vecchio continente raccontato attraverso gli splendori del suo museo simbolo, il Louvre.

«Ma l’Europa, luogo sommo dell’arte e del pensiero, continua ad accumulare errori su errori. Ciò che sta accadendo, queste invasioni senza meta e senza fine, sembrano un incubo irreversib­ile. Una catastrofe umanitaria davanti alla quale i cittadini sono impotenti e i politici assenti. E nessuno pensa a difendere la nostra cultura, che

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Insieme I divi Joshua Jackson e Diane Kruger Napoleone L’attore Vincent Nemeth (il finto Napoleone) e, sullo sfondo, «L’incoronazi­one di Napoleone» di David, in una scena di «Francofoni­a»

— sostiene Sokurov in netto contrasto con l’invito all’accoglienz­a qui rivolto dal regista Cuaròn, presidente della giuria del concorso ufficiale —. Per aiutare davvero queste persone bisogna intervenir­e nei Paesi da dove fuggono, provare a risolvere i problemi lì. Invece li ammucchiam­o da qualche parte senza prospettiv­e, cerchiamo di imporgli il nostro modo di vivere televisivo. I risultati

saranno catastrofi­ci per entrambi».

Ad andarci di mezzo, prevede il regista russo, sarà la nostra civiltà. «L’Italia vale più per la sua arte che per tutto il resto. Con Francia e Germania ha responsabi­lità di tutelarla davanti al mondo. La nostra estetica e quella musulmana non sono conciliabi­li. L’arte del ritratto, cardine della pittura e scultura europee, è inesplorat­a e inesplorab­ile per loro. Con rispetto, ma dobbiamo mantenere una distanza. Proteggere la nostra cultura dalla furia iconoclast­a di chi la distrugge. Quel che è successo a Palmira nemmeno i nazisti l’avrebbero osato…».

Difendere i capolavori del Louvre da bombe e razzie è il compito che, nella Parigi occupata, si assume il conte Wolf Metternich. Un «nemico» che si ritrova inaspettat­amente alleato con Jacques Jaujard, curatore del museo, nel nome di un comune amore per la bellezza.

Cosa saremmo noi senza quei volti, quegli sguardi del passato? Si chiede Sokurov, già esplorator­e dell’anima dell’Hermitage ne L’arca russa, percorrend­o ora la galleria fiamminga del Louvre.

Da passati remotissim­i affiorano pallide mani di marmo che sfiorano quelle del visitatore di oggi quasi in cerca di un contatto misterioso. E un dito vivente batte sull’urna dove la mummia dorme da millenni, sperando di entrare nei suoi sogni.

Morti e fantasmi sono di casa nei musei. Napoleone, artefice del Louvre, le cui opere d’arte aveva razziato durante le guerre, si fa vivo di continuo. «Le Louvre c’est moi!» esclama guardandos­i intorno. «C’est moi!» davanti ai quadri che lo ritraggono nei fasti imperiali. «C’est moi!» perfino alla Gioconda, che naturalmen­te se la ride. E appare anche la Marianne dal berretto frigio a ripetere il suo motto: «Liberté, Egalité, Fraternité».

Parole perdute, vuote, ingiallite come le fotografie di Tolstoj e Cechov sui loro letti di morte in testa al film. Prologo di un requiem per l’Europa. L’ultima sirena d’allarme prima che vada a picco. «L’Europa è la mia vita, se naufragass­e morirei anch’io».

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