Troppi stranieri ok ma di italiani bravi non ne escono più
Itanti giocatori stranieri in Italia sono un problema serio ma non sufficiente a spiegare la crisi dei giocatori italiani. Credo sia tempo di cambiare la domanda: non più perché si scelgono tanti stranieri, ma perché in Italia da dieci anni non crescono più grandi giocatori? Dieci anni sono moltissimi in uno sport che ne ha solo cento. Non solo, ma l’Italia dagli anni Venti al Duemila ha sempre avuto generazioni di giocatori molto forti. Da Baloncieri a Meazza, a Mazzola, a Rivera, Tardelli, Baggio fino a TottiDel Piero-Pirlo. Lì ci siamo fermati, ormai molto tempo fa. Per novant’anni abbiamo avuto grande continuità, un fuoriclasse sostituiva l’altro, poi, improvvisamente più niente. Perché? Gli stranieri tolgono spazio, è certamente vero, ma a chi? Chi sono i sacrificati? Non si vedono, non ci sono, questo è il problema. Ci fossero li vedremmo in qualche squadra minore, magari in B o in C, ma li vedremmo. Chi gioca bene non resta fuori. Cosa si è fermato? Cosa è cambiato? Una soluzione è pensare sia solo un caso. Il caso del resto è fondamentale nella vita, può starci che ci maneggi per qualche anno e che tutto si risolva da solo, semplicemente spingendo la ruota. Ma una soluzione più seria è cominciare a credere a un problema strutturale, esistenziale. La nostra differenza nel calcio è sempre stata avere insieme le due caratteristiche delle grandi scuole mondiali, quella latinoamericana e quella nordeuropea. Un po’ meno in tutto ma con un risultato eccellente in fondo alla mescolanza. La mia impressione è che qualcosa si sia rotto in questa specie di ponte. Forse è stato il nostro dover pensare molto all’Europa, il vivere decisamente in modo più occidentale. Forse siamo diventati qualcosa di diverso che non conosciamo ancora. Il calcio non ha mai vissuto da solo, è cambiato sempre con la società che lo esprimeva. Oggi molto è cambiato intorno a noi, dentro di noi. Forse siamo una cosa diversa senza sapere esattamente ancora cosa. Abbiamo cambiato abitudini di vivere, quindi anche di giocare. Abbiamo cambiato i nostri concetti di importanza e di speranza. Sinceramente non lo so. Ma ridurre questa crisi così lunga, così forte, così evidente, a un fatto aritmetico, significa non provare nemmeno a capirla e soprattutto non essere in grado di risolverla.