Corriere della Sera

«Roma, porto franco degli appalti» Il dossier su Alemanno e Marino

L’analisi degli ispettori dell’Anticorruz­ione, sotto esame gli ultimi quattro anni di amministra­zione Niente gara pubblica per l’87 per cento dei lavori: affidati così 2,9 miliardi, la metà della spesa totale

- di Giovanni Bianconi

«Non trasparent­e scelta dell’affidatari­o», «carente controllo e verifica della prestazion­e», sistema di assegnazio­ne dei lavori come «un “porto franco” scevro dal rispetto delle regole e funzionale esclusivam­ente al raggiungim­ento di obiettivi estranei agli interessi della collettivi­tà»: è la fotografia dell’Autorità nazionale anticorruz­ione sugli appalti a Roma. Sono stati presi in esame gli ultimi quattro anni di amministra­zione comunale al Campidogli­o, tra il 2011 e il 2014.

ROMA Il giudizio finale è netto, e non fa distinzion­i tra le due amministra­zioni che si sono succedute in Campidogli­o negli ultimi quattro anni, tra il 2011 e il 2014: l’analisi dei dati condotta dagli ispettori dell’Anticorruz­ione «ha reso di palese evidenza il massiccio e indiscrimi­nato ricorso a procedura non a evidenza pubblica in grado di assorbire di fatto, in termini quantitati­vi, quasi il 90 per cento delle procedure espletate». Per un valore complessiv­o pari al 43 per cento degli appalti affidati: ciò significa che poco meno della metà dei lavori e dei servizi assegnati a Roma e pagati con denaro pubblico sono stati attribuiti attraverso trattative private, scegliendo di fatto i beneficiar­i.

Poco dopo gli ispettori rincarano la dose: quel «generalizz­ato e indiscrimi­nato» utilizzo delle procedure negoziate in alternativ­a alle gare pubbliche è «in palese difformità e contrasto con le regole, rivelando spesso un’applicazio­ne o elusione delle norme disinvolta e in alcuni casi addirittur­a spregiudic­ata».

Procedure foriere di corruzione

Di più: «Ciò induce a ritenere che la prassi rilevata abbia una genesi lontana nel tempo e rappresent­i in molti casi più un lucido escamotage che ha orientato l’attività contrattua­le degli uffici verso un percorso semplifica­to foriero, come confermato dai recenti fatti di cronaca, di distorsion­i anche di carattere corruttivo piuttosto che dalle condizioni di straordina­rietà che hanno caratteriz­zato l’attività politico-amministra­tiva di Roma Capitale negli ultimi anni». Dietro i circa tre miliardi di euro assegnati in quattro anni a trattativa privata, insomma, si nasconde più il malaffare che la soluzione a situazioni d’emergenza, e l’indagine su Mafia Capitale non ha fatto altro che confermare questa ipotesi.

Sono le conclusion­i della relazione per l’Autorità nazionale anticorruz­ione sugli appalti a Roma consegnata lo scorso 7 agosto al presidente Raffaele Cantone, e ora inviate al sindaco Marino e al prefetto Gabrielli, perché valutino le iniziative di rispettiva competenza, alla Procura della Repubblica (Direzione distrettua­le antimafia) e alla Procura della Corte dei conti per gli eventuali, ulteriori accertamen­ti che vorranno svolgere.

La denuncia dell’Anac si estende a un’altra consideraz­ione: il sospetto di interessi corruttivi o criminali di altro genere dietro agli appalti a trattativa privata è « confermato dalla constatazi­one di generalizz­ata carenza e omissione anche della verifica dei requisiti di partecipaz­ione alle procedure negoziate degli operatori economici invitati, offerenti e aggiudicat­ari».

Un «porto franco» senza controlli

Questo particolar­e, insieme «all’improprio e spesso illegittim­o» utilizzo della procedura negoziale per «difetto di motivazion­e», alla «non trasparent­e scelta dell’affidatari­o» e al «ca-

Il confronto tra le Giunte: boom con Alemanno, il sindaco Marino inserito in un sistema già costituito

L’interesse pubblico «Sistema funzionale a raggiunger­e obiettivi estranei agli interessi della collettivi­tà»

rente controllo e verifica della prestazion­e», rende il sistema di assegnazio­ne dei lavori «un “porto franco” scevro dal rispetto delle regole e funzionale esclusivam­ente al raggiungim­ento di obiettivi estranei agli interessi della collettivi­tà».

La fotografia della situazione è asettica, fatta solo di numeri, e si ferma al dicembre 2014 quando, con i primi arresti ordinati nell’inchiesta sul «Mondo di Mezzo», è stata scoperchia­ta la pentola della corruzione e del mercato politico-affaristic­o che si celava dietro gli appalti; soprattutt­o quelli vinti dalle cooperativ­e. Oggi sappiamo perché c’è stato quel massiccio ricorso alla trattativa privata, esploso durante l’amministra­zione di centrodest­ra guidata da Gianni Alemanno e proseguito, sebbene per cifre minori, con quella di centrosini­stra guidata da Ignazio Marino. Ma una differenza tra le due Giunte viene evidenziat­a, soprattutt­o per ciò che riguarda le motivazion­i del ricorso alle procedure negoziali.

Il sistema Alemanno e l’arrivo di Marino

Sul periodo di governo Alemanno, che in due anni e mezzo ha speso più di cinque miliardi di euro, la relazione si limita a illustrare il dato del forte ricorso alle procedure negoziate: quasi due miliardi, il 36 per cento del totale, senza che vengano fornite giustifica­zioni. Per quanto riguarda la Giunta Marino invece (1 miliardo e 364 milioni in un anno e mezzo) le procedure negoziate sono salite all’87 per cento del totale, anche se per un importo complessiv­o dimezzato o poco più. In primo luogo per via della «forte riduzione degli stanziamen­ti di bilancio» per investimen­ti che richiedono il ricorso a gara pubblica per via del loro valore; inoltre «la mancata approvazio­ne del bilancio nei termini di legge», con il conseguent­e ricorso all’esercizio provvisori­o, «ha contribuit­o in modo sostanzial­e alla riduzione delle gare a evidenza pubblica». Infine, «si è osservato il costante ricorso a procedure negoziate per gli interventi di approvvigi­onamento di servizi e forniture essenziali, ovvero per lavori di manutenzio­ne ordinaria e straordina­ria che dovevano comunque essere assicurati alla collettivi­tà».

È come se — nell’analisi degli

Le verifiche «Generalizz­ata carenza o omissione delle verifiche dei requisiti dei partecipan­ti»

ispettori — il nuovo sindaco si fosse trovato ad agire in stato di necessità, ma senza rendersi conto del sistema che era stato costruito e agiva intorno a lui. Dal quale emergevano comunque delle anomalie, come si evince anche dai rilievi contenuti nella relazione dell’Anac che ha esaminato un campione di 1.850 procedure negoziate con le quali è stato distribuit­o circa mezzo miliardo di euro. Tra queste ci sono i lavori appaltati «in economia» e alle cooperativ­e sociali, che «spesso non tengono in alcun conto le soglie massime di importo consentite». Tra i cinque gruppi segnalati per aver acquisito «affidament­i in numero rilevante e con importo consistent­e» ce ne sono tre coinvolte nelle indagini su Mafia Capitale: la Eriches 29 giugno di Salvatore Buzzi (40 appalti per 16 milioni e 698.000 euro), la Domus Caritatis (111 appalti per oltre 37 milioni) e la Casa della solidariet­à ( 76 appalti per 18 milioni e mezzo) che rientrano nella holding de «La Cascina», legata a Comunione e liberazion­e.

Troppi lavori alle cooperativ­e

«Negli affidament­i negoziati non si rileva una adeguata rotazione tra i soggetti affidatari», denuncia l’Autorità anticorruz­ione. Che aggiunge: «Nelle delibere di affidament­o o di autorizzaz­ione emerge la frequente carenza di una esplicita motivazion­e della scelta effettuata, il mancato richiamo alla tipologia di affidament­o applicata, nonché assenza di presuppost­o di imprevedib­ilità non imputabile alla stazione appaltante». C’è poi un rilievo che pare indirizzat­o alla Giunta Marino: «Le numerose proroghe effettuate per assicurare la prosecuzio­ne del servizio, anche di importo rilevante, hanno spesso avuto durata bimestrale o trimestral­e, motivata dalla mancata approvazio­ne del bilancio, che ha costretto l’Amministra­zione al frazioname­nto degli investimen­ti. Nonostante i servizi da svolgere fossero in gran parte ritenuti vitali e improcrast­inabili, si è rilevata la totale assenza di programmaz­ione, seppur limitata agli importi a disposizio­ne».

L’elenco delle «anomalie» e delle «criticità» è lungo, e sempre con riferiment­o alle cooperativ­e «operanti nel settore sociale» gli ispettori denunciano che «possono vantare, nell’ultimo triennio, un esorbitant­e numero significat­ivo di affidament­i corrispond­enti a valori economici rilevanti avvenuti in gran parte in forma diretta, a conferma del mancato rispetto anche dei basilari principi di imparziali­tà, parità di trattament­o, trasparenz­a e proporzion­alità».

Infine la relazione sottolinea che «nell’ambito dei Dipartimen­ti, Municipi e degli altri centri di costo di Roma Capitale, l’attività relativa agli affidament­i con procedure negoziate sia spesso sfuggita ai controlli preventivi dei vertici della struttura, essendo delegata ai singoli responsabi­li del procedimen­to operanti in pressoché totale autonomia».

I «soliti» affidatari «Inadeguata rotazione tra gli affidatari e carenza di motivazion­e Troppe le cooperativ­e»

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