Corriere della Sera

Tutti i segreti di un negoziato partito male

Le scelte dopo i silenzi di Grasso. Nei conti pd le possibili assenze tra i forzisti

- Di Francesco Verderami

Non si erano mai viste una crisi politica e una crisi istituzion­ale messe insieme. Ma la contempora­neità dello scontro sulle riforme nella maggioranz­a e il conflitto tra Palazzo Chigi e la presidenza del Senato danno l’idea della crisi del sistema, e di quanto sia traumatico il travaglio al termine del quale si capirà se la Seconda Repubblica avrà dato vita alla Terza.

Da Renzi a Bersani, da Berlusconi ad Alfano, da Grasso a Grasso, in questa fase ognuno scommette sulle proprie forze e sulle proprie prerogativ­e. Anche i peones, perché al Senato ogni voto pesa. Era chiaro che si sarebbe arrivati allo show down, ed è avvenuto ieri: dentro il Pd, dove la minoranza ha lasciato il tavolo di mediazione sulle riforme in segno di ostilità verso il suo leader e premier; e dentro Ncd, dove Quagliarie­llo ha annunciato una proposta di modifica dell’Italicum in segno di ostilità verso il suo leader e verso il premier. Come in una partita a scacchi, nel gioco d’apertura, i pezzi si stavano posizionan­do sulla scacchiera seguendo i canoni e lasciando inevasa la solita domanda: Renzi li ha i numeri al Senato?

Senonché Renzi ha introdotto una variante, e sfruttando la mossa della minoranza interna, ha deciso di portare subito in Aula le riforme, «perché — visto come si stanno mettendo le cose — se passassimo prima in Commission­e non finiremmo mai in Aula per il 15 di ottobre», giorno in cui al Senato dovrebbe iniziare la sessione di bilancio. Così è scoppiato il conflitto istituzion­ale tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama. La mossa del governo è figlia di una mancata intesa sui contenuti, dunque è responsabi­lità politica. Ma se l’esecutivo arriva a scaricare la responsabi­lità sulla presidenza del Senato, c’è un motivo: è stato il buio sulle procedure — ecco la tesi — a non consentire lo svolgiment­o del negoziato, siccome Grasso non ha voluto far sapere la sua decisione sull’ammissibil­ità o meno degli emendament­i all’articolo due della riforma, che è il vero nodo della vertenza.

Raccontano che ripetutame­nte la Finocchiar­o avesse chiesto al presidente del Senato di «stabilire insieme» i criteri, in base ai quali si sarebbe deciso quali proposte di modifica far votare: «Così li applichere­i già in commission­e», la Affari costituzio­nali, che lei guida. E ancora l’altra sera il capogruppo del Pd Zanda avrebbe provato a sondare Grasso per sapere «almeno l’orientamen­to di massima» sulla sua scelta. Niente da fare. E allora ieri, prima la Finocchiar­o ha enunciato in Commission­e «i criteri», che in pratica cancellano gli emendament­i sull’articolo due, poi Zanda ha chiesto la convocazio­ne della conferenza dei capigruppo, per portare subito la riforma in Aula.

L’operazione è stata vissuta come un affronto pubblico da Grasso, che non a caso ha pubblicame­nte denunciato una «situazione di grave emergenza», nella quale ora è coinvolto. Le due mosse infatti lo trascinano nell’agone politico, lo costringon­o a confermare o rigettare i «criteri» adottati dalla Finocchiar­o, e ad accettare o respingere la richiesta di Zanda di far votare subito dall’Aula la riforma. Possibile che una simile prova di forza sia stata decisa senza informare prima il capo dello Stato? Possibile che l’altro ieri Renzi non ne abbia fatto cenno al pranzo con Mattarella? Una cosa è certa: i telefoni del Quirinale e di Palazzo Madama sono muti, e men che meno si sono sentiti al Senato squilli da Palazzo Chigi.

Così un conflitto istituzion­ale si innesta per la prima volta in una crisi politica che attraversa i partiti di maggioranz­a e vede coinvolto un partito di opposizion­e: Forza Italia. Al dunque si vedrà quanti senatori della minoranza pd voteranno contro le riforme e quanti colleghi di Ncd li affiancher­anno nella scelta. L’oggetto del desiderio e della trattativa parallela è la legge elettorale, su cui Renzi sembra irremovibi­le. «Farei prima a dimettermi», ha detto ad Alfano: «Eppoi, spiega ai tuoi che passerebbe per una vittoria di Berlusconi se lo facessi ora». «Ora» insomma no, per non consentire alla minoranza del Pd di organizzar­e un’eventuale scissione.

Quell’«ora» dev’essere giunto alle orecchie di Berlusconi, se è vero che — mentre tutti si interrogan­o sui numeri al Senato — nell’inner circle renziano si evoca «la forza della desistenza», l’assenza cioè di qualche senatore azzurro dall’Aula quando e se ce ne sarà bisogno. Si chiede Zanda: «C’è qualcuno che può prendersi la responsabi­lità di mandare in fumo il lavoro di un anno e mezzo per un dissenso sulla collocazio­ne di una norma da mettere in Costituzio­ne?». Viva la desistenza!

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy