Muro finito, in Ungheria centinaia di arresti
Budapest ora vuole costruire una barriera anche a Est. L’Austria chiude il confine con l’Italia Dalla Germania appelli ad aprire i nostri centri: «Serve subito un vertice dei leader europei»
Dopo la marcia, i muri. Dopo la speranza, la paura. Quella di chi è sopravvissuto alla guerra e al mare e trova la strada sbarrata a un passo dall’Europa, in ritardo di un giorno, un’ora, un minuto sui piani del governo ungherese che ieri ha chiuso il passaggio dalla Serbia come promesso.
L’Ungheria completa il muro a Sud e pensa già di alzarne un altro a Est. Paese chiuso, non si entra, ma da questa paura neanche si esce. E c’è quella della Ue, che ci ha messo due mesi per accordarsi su 40 mila profughi da distribuire mentre gli ingressi da inizio anno superano i 500 mila, la Ue aggrappata alla volontà di Angela Merkel che, ora sì, dev’essere di ferro. Dopo l’impasse al Consiglio dei ministri degli Interni di lunedì, la cancelliera tedesca lancia da Vienna l’appello «all’unità e allo spirito europeo», chiedendo con l’austriaco Werner Faymann un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo per portare ai massimi livelli la discussione sugli hotspot da attivare in Italia e Grecia e sulla cooperazione con Turchia e Paesi d’origine dei migranti. La risposta del presidente del Consiglio Ue Donald Tusk arriverà domani.
In Ungheria entrano in vigore le nuove leggi contro l’immigrazione illegale e partono gli arresti. Poteri speciali alla polizia, uso dell’esercito, stato d’allerta a Sud. «Europa, vergogna» scrivono i profughi siriani e afgani sui fogli attaccati alle reti. C’è chi fa lo sciopero della fame, chi rifiuta gli aiuti. Vogliono passare e proseguire verso l’Austria e la Germania.
Le norme approvate due settimane fa dal Parlamento ungherese in seduta straordinaria istituiscono reati ad hoc, come il «danno a beni dello Stato» che autorizza la polizia a fermare chiunque tenti di aprirsi un varco nel muro di filo spinato appena completato con il lavoro extra di agenti e detenuti. Cumulando i tre anni di carcere previsti per l’ingresso illegale e i due per i «danni», la pena può arrivare a cinque. Solo ieri gli arresti sono stati oltre 170. Per 45 si è già aperto il processo. L’idea è andare al rito abbreviato e all’espulsione immediata verso la Serbia. Trenta giudici sono pronti a processare per direttissima i migranti.
Veloce per ora procede l’esame delle richieste d’asilo presentate nelle due zone di transito a Roszke e Tompa. Secondo i dati ufficiali ieri ne sono state depositate 48: esaminate 16, respinte 16. L’aveva detto il premier Viktor Orbán: «Non sono rifugiati, solo migranti economici». Distinzione delicata, ma a Budapest di questi tempi non vanno per il sottile: chi ha lasciato le zone di guerra non è in pericolo di vita, tanto più che proviene dalla Serbia considerata formalmente, grazie a un’altra norma di recente approvazione, «Paese sicuro». Condanna Amnesty International. Batte un colpo anche la Ue, con la Commissione che chiede i primi chiarimenti sulla legge.
A Nord non si passa, indietro non si torna e l’inverno è alle porte. Belgrado non sa che fare della terra di nessuno che si sta formando alla frontiera. Prima o poi il fiume umano tenterà di aggirare il muro e gli ungheresi annunciano una nuova recinzione al confine con la Romania. Bucarest protesta: «Alzare una barriera tra due Stati Ue che sono partner strategici non è un gesto in sintonia con lo spirito europeo». Stesse parole di Angela Merkel.
Sull’esempio ungherese, anche il premier ceco Bohuslav Sobotka si dice pronto a mandare l’esercito ai confini. E come già Berlino, Vienna reintroduce i controlli, non più solo alla frontiera con l’Ungheria ma anche a quelle con Italia, Slovacchia e Slovenia.
Roma frena sugli hotspot. La
Sproporzione La Ue si è accordata per distribuire 40 mila profughi: nel 2015 ne sono arrivati 500 mila
presidenza di turno lussemburghese critica l’iniziativa austro-tedesca per un Consiglio straordinario. Tutti contro tutti, divisioni che rafforzano i nazionalisti come Orbán e il fronte antiquote del CentroEst. In questo clima si torna a discutere la distribuzione di altri 120 mila rifugiati in un nuovo incontro dei ministri degli Interni martedì 22 a Bruxelles. Ultima spiaggia il voto a maggioranza qualificata, che sarebbe il suggello politico a una spaccatura senza ritorno.
Deve rimettersi in forze, lo spirito europeo.