Le denunce inutili di Vincenza uccisa dall’ex
Napoli, lui le entrava in casa anche di notte. La famiglia: lasciata sola come un cane. L’uomo è stato arrestato
L’inferno di Vincenza era cominciato nel marzo di quest’anno, quando decise di lasciare Nunzio e di non ripetere l’errore commesso tre anni fa, e cioè ritirare la prima denuncia per stalking e tornare con lui. In meno di sei mesi Vincenza è precipitata nell’angoscia, nella paura di uscire da sola, di tornare a casa la sera, anche di stare in casa. Perché Nunzio le ha reso la vita impossibile, fino poi a strappargliela l’altro giorno, quando l’ha fermata per strada e le ha sparato.
All’alba di ieri Nunzio Annunziata, 36 anni, ha finito la sua breve fuga da assassino. I carabinieri lo hanno rintracciato a Poggiomarino, poco distante da Terzigno, dove Vincenza Avino viveva e dove lui l’ha ammazzata. Davanti al magistrato è rimasto zitto: nessun crollo psicologico, nessuna richiesta di perdono. Semmai solo un atteggiamento sprezzante.
Non sorprende, se si rilegge, attraverso l’ordinanza con la quale il 9 luglio scorso il gip di Nola lo mandò ai domiciliari, la vita alla quale ha costretto Vincenza negli ultimi mesi. Il 12 maggio la donna si presentò in lacrime dai carabinieri, ma non ebbe nemmeno il tempo di sfogarsi. Cominciò: «Mi segue dappertutto, mi perseguita, non ce la faccio più», ma il maresciallo dovette interromperla perché in stanza era piombato Nunzio, «molto agitato, con la sudorazione accentuata e si muoveva in modo frenetico», scriverà poi il sottufficiale nella sua relazione di servizio. «Ecco, lo avete visto anche voi», singhiozzò Vincenza.
Era l’ennesima volta che se lo ritrovava addosso dovunque fosse. Lei frequentava una scuola serale, e ogni volta era la stessa storia. Nunzio si presentava lì, si infilava nell’androne, in aula, la chiamava, la costringeva a uscire per parlarle. Una volta lo mandò via un professore, un’altra volta dovettero chiudere il cancello per impedirgli di entrare e lui rimase un’ora in macchina là davanti a suonare il clacson.
Come tutti gli stalker diceva di essere innamorato, e quel giorno in caserma pretendeva pure che il maresciallo stesse dalla sua parte perché come uomo doveva comprenderlo. Ma Vincenza era andata lì per raccontare un episodio che era successo undici giorni prima e che l’aveva terrorizzata, anche se poi non aveva avuto subito il coraggio di andare a fare la denuncia. La notte del primo maggio se lo era trovato in casa mentre dormiva. Lei abitava al terzo piano, e Nunzio era stato capace di arrampicarsi fino al balcone, per poi entrare attraverso una porta-finestra rimasta aperta. Quella notte aveva bevuto, e lo disse anche: «Sono ubriaco, non chiamare i carabinieri. Devi tornare con me, devi venire con me ora perché io ti amo». Era fuori controllo, e Vincenza lo capì subito, come lo capì suo figlio, e corse a telefonare ai nonni che abitano nello stesso palazzo. Il tempo di salire un piano e Nunzio aveva già trascinato Vincenza sul balcone. La teneva stretta per il collo e intanto con una gamba cominciò a scavalcare la ringhiera. «Dobbiamo morire tutti e due», urlava, «dobbiamo morire insieme». E stava davvero per precipitare con lei, se i genitori e il figlio della donna non fossero arrivati in tempo a strappargliela dalle mani e a salvare pure lui, che ubriaco com’era ci avrebbe potuto mettere davvero un attimo a perdere l’equilibrio e finire giù.
Da quel giorno Vincenza cercava di non uscire più da sola, a 36 anni chiedeva ai genitori di accompagnarla perché aveva paura. E il gip le diede ragione perché definì «violenta ed insofferente al rispetto delle regole del vivere civile» la personalità di Nunzio, e scrisse che il suo comportamento aveva «assunto i caratteri della vera e propria persecuzione». Perciò doveva stare agli arresti domiciliari. Ma dopo pochi giorni il Riesame attenuò: libero ma con divieto di avvicinarsi a Vincenza. E così, piange ora il papà della donna, Stefano, «l’hanno lasciata sola come un cane».