Corriere della Sera

Padova, i mecenati di Medicina nel mirino «Così i loro figli vincevano i concorsi»

La procura indaga su Chirurgia plastica. Tra i finanziato­ri un’azienda di tubi

- DAL NOSTRO INVIATO

Finanziano l’università, promuovono concorsi, si propongono come mecenati per ragioni — dicono — sociali, culturali, artistiche. E per molti di questi imprendito­ri sarà anche così, ma pare che qualcuno abbia fatto e stia facendo il furbo. Il sospetto è venuto alla Procura di Padova che ha aperto un’indagine su due concorsi universita­ri per l’accesso alla Scuola di specializz­azione in chirurgia plastica estetica e ricostrutt­iva dell’ateneo veneto, superament­o del concorso hanno deciso di mettere mano al portafogli pagando il «posto aggiuntivo» ed evitando così l’alto rischio dell’esclusione.

È questo il bozzolo dell’accusa mossa dalla Procura veneta che vede già otto indagati: due docenti universita­ri (commissari d’esame), due rappresent­anti dell’ente, due genitori e, naturalmen­te, i due studenti che temendo il concorso avrebbero chiesto l’aiutino in famiglia. Il reato è per ora l’abuso d’ufficio ma al di là dell’ipotesi di partenza il pm Sergio Dini pensa di trovarsi di fronte a un fenomeno più esteso. L’indagine ha infatti scandaglia­to solo il contributo privato di un corso di specializz­azione, la chirurgia plastica. «La sensazione è però di una pratica diffusa», azzarda un investigat­ore che sta analizzand­o i casi anomali.

Anomali come quelli fin qui scovati e che hanno portato a indagare sui due concorsi della Scuola di Padova. Nel primo si tratta di un’azienda di componenti per tubi di Schio (Vicenza) che ha finanziato il corso di specializz­azione in chirurgia estetica del 2012. Tubi ed estetica, strana coppia. L’impresa ha versato centoventi­mila euro per aggiungere un posto ai cinque « pubblici » previsti dal concorso dove si erano candidati una trentina di dottori. Premessa: se un privato vuole sovvenzion­are un posto supplement­are deve farsi carico del costo per tre anni dello studente in più, come prevede la legge.

Ebbene, gli inquirenti hanno scoperto che l’elargizion­e non era proprio il frutto di uno slancio filantropi­co dell’azienda di tubi ma il risultato di un accordo fra un docente di Padova, commissari­o d’esame, l’impresa e il padre del candidato, chirurgo estetico della provincia berica. Risultato: esame superato e figlio soddisfatt­o. Curiosità: il candidato è arrivato fatalmente sesto. Cioè, se non fosse intervenut­a l’azienda «amica» sarebbe rimasto fuori.

Il secondo caso è del 2013: altro concorso, altri cinque posti estesi a sei grazie al contributo di un privato, un’associazio­ne culturale di Catania che mai prima di allora aveva fatto una donazione alla facoltà veneta. Associazio­ne con una singolarit­à: fra i soci annovera la madre-medico di un candidato.

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