Le rocker (meno maledette) di Diesel Chi scommette sulla denim couture
Le sfilate di New York. Il ritorno degli anni 60, gli intarsi d’ispirazione magrebina
Happy birthday mister R.R. Sessant’anni e non sentirli: jeans e t-shirt e giubbotto di pelle, 1 miliardo e 600 milioni di fatturato con la sua Only The Brave, solo i coraggiosi. Renzo Rosso arriva alla sfilata di Diesel Black Gold, la sua creatura preferita, con il sorriso di chi può festeggiare i compleanni, anche quelli importanti, come gli pare. Nel caso, lavoro e famiglia: lo show e una cena con i figli. Megaparty? Immaginario, meglio la beneficenza. Non finisce mai di stupire questo imprenditore che sembra sempre un ragazzo e che forse lo è. Entusiasta e positivo e sognatore/realizzatore: «Ci sono molte cose in ballo», dice come se qualche volta nella sua vita fosse mai stato fermo (sta pure per diventare di nuovo padre e, per la prima volta, nonno!). E poi, sulla scommessa Diesel Black Gold by Andreas Melbostad: «Sono più che contento: siamo già a 37 milioni di euro — snocciola — ed entro cinque anni arriveremo a 100 milioni. È una piccola parte di Otb ma molto importante perché è quella dell’eccellenza».
Melbostad, accanto a lui, si bea delle carezze con la calma serafica di chi sa di meritarsele perché lo stilista, è vero, sta facendo un lavoro di fino sul brand, sin troppo pulito, considerando le tribù di appartenenza del marchio. Ma forse la scommessa è proprio questa. E il denim è trattato alla stregua di certi tessuti couture: ritagliato e riassemblato effetto ricamo: ci vogliono cento piccoli ritagli per fare un pantalone. Poi il furto nel guardaroba maschile: la camicia come capo dominante che diventa un top crop o un abito corto; le cinture che reggono la salopette di pelle o la mini; le t-shirt over e lavorate nei colori di collezione (bianco e nero naturalmente) in patchwork grafici. Scarpe urbane: sneaker, scarpe di tela e stivaletti da biker.
Se non è «wow» e party style da Jeremy Scott, da chi allora? C’è esageratamente tutto sulla passerella dello stilista ora prodotto dagli italiani di Aeffe che già lo avevano voluto per Moschino. J.S. è cresciuto in una sperduta fattoria del Kansas, a barbecue e tv. Ossessioni che ritornano perché lui ora è vegano e nella sua moda non riesce a non giocare con i cartoni animati della sua infanzia. Colori e fumetti e scarabocchi di bambini per vestire una ragazza anni Sessanta tutta curve e cofana in testa e occhioni e unghie pittate. Tubini, top crop, gonne seconda pelle, pantaloni tu-mi-turbi, calze macro rete e stivaletti vertiginosi. E per borsa una piccola tv, non sia mai che la sciroccata si dimentichi da quale telefilm sia uscita.
Tory Burch, al contrario, smorza i toni e le fantasie, e riprende la strada della collezione invernale fatta di sapori magrebini di certi ricami e sbuffi e corti o lunghi caftani, di gonne pareo o mini di stuoie di cotone, di scarpe-pantofole ma anche di bon ton newyorkesi di sottane a ruota con il golfino, di short svelti con la blusa in pendant e di lunghi scivolati e damascati. C’è un’attitudine meno sportiva, ma non è un caso: oggi la stilista presenta la sua nuova collezione sport, dal tennis allo yoga al run, al cycle al fit. Oh yeah!
Più leggero anche Zac Posen che evita corsetti troppo stretti e costruzioni iper sartoriali e ci guadagna in freschezza e contemporaneità pur restando nel territorio delle ragazze/donne bon ton. Noiose? Ma no, persino uniche nei nuovi scenari metropolitani. Eccole sempre in ballerine con i loro tailleur pantalone morbidi, gli abiti a ruota, le gonne midi e le giacchette con un bottone.
Renzo Rosso «Ci sono molte cose in ballo». Compie 60 anni, sarà nonno e di nuovo papà