Essere adulti (e genitori) non è divertente
MacDonald sovverte gli stereotipi sulla famiglia
L’età adulta, nuovo romanzo di Ann-Marie MacDonald (traduzione di Giovanna Granato, Mondadori), non è un romanzo sulla famiglia moderna, non è la storia di come si può crescere felici anche senza padri, non è «un ritratto caustico e divertente dell’essere genitori», come lo definisce il «Guardian». O meglio, lo è per le prime sei pagine, fino al «mammi» della bambina al telefono con quello che si pensa essere il padre. L’autrice presenta un mondo, compone un ritratto familiare allegro, caotico, per poi ribaltarlo.
Mary Rose, mamma quarantottenne, scrittrice di romanzi «Young Adult», due figli piccoli, un cane, un criceto, due genitori anziani svampiti. Sei pagine di gioiosa normalità: il cane Daisy che morde il postino, Maggie che beve dalla ciotola del cane, la nonna che canta al telefono per la nipotina. Dunque sì, ritratto caustico e divertente dell’essere genitori. Un ritratto compiuto per essere disintegrato. A cominciare dal fatto che non esiste un marito, bensì una moglie, ovvero due madri, e i bambini non sono figli loro. Per continuare con la riflessione della protagonista: «Sono diventata una casalinga anni 50 come la mamma», e però «a differenza della madre, Mary Rose non ha mai portato un figlio in grembo, e men che meno l’ha seppellito». Nuovo ribaltamento di ritratto di famiglia felice.
Ann-Marie MacDonald distrugge lentamente — da grande scrittrice quale è —, infetta per gradi il ritratto caustico e divertente dell’essere genitori.
No, non sono una famiglia tradizionale; no, lei non è una mamma paziente; no, non è stata una bambina felice. Per capire cosa le stia succedendo oggi — dolore al braccio, attacchi di panico, manifestazioni di rabbia — Mary Rose ha bisogno di ricordare la sua d’infanzia, anche quello che ha cancellato: «Il tempo si misurava in bambini morti, ossa rotte e trasferimenti». Lei è nata tra due fratellini morti. Non è la prima Mary Rose. La prima è nata morta, neanche seppellita. Da sempre lei ha chiesto: dov’è andata a finire la prima Mary Rose? Da sempre nessuno risponde. Per l’altro fratellino c’è la tomba. Per la prima Mary Rose niente, nessun luogo. Come non c’è luogo per certi ricordi sospesi nel tempo (Mary Rose appesa al balcone, dov’era mamma?). Ecco perché L’età adulta prima di tutto è la ricerca di un luogo. Quel luogo e quel tempo dove si sanano le fratture. E per trovarlo Mary Rose deve tornare indietro.
Un ritorno, anzi un richiamo, prima di tutto fisico: la ricomparsa del dolore al braccio, le cisti ossee pediatriche benigne per le quali Mary Rose è stato operata tre volte da bambina. «A differenza di altre cisti, che sono la presenza di tessuto malato, le cisti ossee sono un’assenza: cavità nell’osso che si riempiono di fluido giallognolo». Quante assenze ci sono nella vita di Mary Rose, quanti vuoti nella memoria? È arrivato il momento di riempirli, il momento di allestire un cimitero personale dove poter piangere i morti, ma anche i ricordi, dove seppellire tutto quel che è stato. Eppure Mary Rose lo ha già fatto: nei romanzi «Young Adult» che ha scritto — JonKitty McRae: viaggio nell’altrove; JonKitty McRae: fuga dall’altrove — lei ha già creato l’altrove dove ricongiungersi al perduto (che sia questa la letteratura? Ricreare il proprio cimitero personale di affetti e ricordi?). L’altrove dei suoi romanzi è un universo parallelo dove Kitty, protagonista bambina, incontra il gemello, l’altrove è il limbo dove Mary Rose, attraverso Kitty, ritrova tutti i bambini spariti, perché ne L’età adulta, libro straordinario non sull’essere genitori ma sulla fine del tempo in cui tutto era intero (prima della nascita, prima della maternità?), ebbene in questo libro di bambini spariti ce ne sono tantissimi, fugaci apparizioni, evocazioni, spettempo tri. L’altrove dei romanzi di Mary Rose insomma non è altro che la risposta alla domanda dell’infanzia: dove è andata a finire la prima Mary Rose?
Domanda che torna ossessiva. Ne L’età adulta la ripetizione si fa significato, diventa storia a sé. Accompagna il ritrovarsi di Mary Rose. Nel momento in cui la ripetizione comica («È stato prima o dopo la morte di mamma che mi hai regalato la pietra di luna, Dunc?», «È morta prima o dopo che abbiamo perso Alexander?») si sovrappone alla ripetizione drammatica (Mary Rose bambina appesa al balcone), senza più distinzione: la mamma soffre di demenza senile, la mamma sta vivendo una seconda infanzia, il padre sapeva, il padre non sapeva, la sorella l’ha spinta sul balcone, la sorella l’ha tirata su dal balcone, e dunque nel luogo della sovrapposizione arriva il perdono, anche di se stessa. È questo il in cui tutto torna intero, è questa l’età adulta, «è successo tutto, non è successo niente, sta ancora succedendo».
Nel romanzo Viaggio nell’altrove Kitty incontra la bambola incenerita dagli occhi scorticati — qualcuno deve averla buttata nel fuoco —, la bambola le chiede perché l’abbia mandata via, Kitty non la riconosce, non sa chi sia. La bambola insiste, le chiede di realizzare il suo ultimo desiderio: «Abbracciami, Kitty» rantola la cosa, tendendo le braccia di plastica. E allora Kitty l’abbraccia, e la bambola torna rosa, bionda, gli occhi azzurri, bambina perfetta, Susi, la sua adorata bambola che finalmente riconosce, oh Susi sei tu. Così come è riuscita a farlo attraverso la letteratura, adesso anche nella vita reale, nella coscienza, Mary Rose si ricongiunge al perduto, alla prima Mary Rose, sorella e se stessa.
Mary Rose ha 48 anni, due figli non suoi e vive senza un marito Ha bisogno di ricordare la sua infanzia, anche quello che ha cancellato