La Danimarca di ieri e di oggi
Il Corriere ha pubblicato un corsivo di Maurizio Ferrera sul caso danese che mi trova in completo disaccordo (Dubbi amletici sul mito dei danesi solidali, Corriere dell’11 settembre). In particolare mi sembra sbagliato, anzi per certi versi incomprensibile, parlare di scheletri nell’armadio in riferimento alla spinta data all’occupazione femminile attraverso un welfare avanzato di servizi alle famiglie, invece che puntare all’importazione di manodopera immigrata. Questo dovrebbe essere un comportamento virtuoso e auspicabile anche per l’Italia: magari avessimo intrapreso anche noi un cammino paragonabile a quello danese, in quel caso credo che ora l’Italia sarebbe certamente migliore .
Il mio corsivo ha suscitato sorpresa e perplessità in molti lettori, dunque chiarisco. Negli anni Cinquanta la Danimarca era un Paese arretrato (chi riceveva assistenza perdeva alcuni diritti civili). Assumere i migranti, ad esempio italiani, costava caro perché bisognava pagarli come i danesi. Alle donne si potevano pagare salari molto più bassi, a parità di lavoro. Non c’erano servizi, i sindacati denunciavano lo sfruttamento del lavoro femminile. Le pari opportunità arrivarono solo negli anni Settanta, dopo l’adesione alla Unione europea , che aveva una legislazione molto più avanzata. Insomma, il percorso verso il welfare universalistico e solidale fu storicamente lastricato di sacrifici e discriminazioni per le donne danesi. Quanto all’attuale comportamento verso gli immigrati: a Copenaghen operano gruppi di xenofobi neonazisti,