Corriere della Sera

Padoan: Tasi e Imu abolite per gli inquilini Frenata pensioni

- Andrea Ducci

Il prossimo anno non si pagherà la Tasi sull’abitazione principale. La cancellazi­one del tributo per i servizi indivisibi­li ha un risvolto positivo anche per chi vive in una casa in affitto. A specificar­lo è stato ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, nel corso del question time alla Camera. «È corretto un intervento finalizzat­o all’eliminazio­ne della Tasi sia per i possessori sia per i detentori dell’immobile, evitando disparità tra contribuen­ti». Il tratto di penna, tramite il quale cancellare le imposte sulla prima casa (sarà eliminata anche l’Imu sugli immobili per cui è prevista), stabilisce insomma che gli inquilini non paghino più la Tasi di loro competenza. Oggi chi vive in affitto concorre al pagamento con una quota tra il 10 e il 30%, in base a quanto stabilito dal Comune di appartenen­za. Il resto è a carico del proprietar­io dell’immobile. Il timore che l’eliminazio­ne della Tasi per gli inquilini si configuri, d’altra parte, come un aumento del carico fiscale sui proprietar­i (per loro si tratta di seconde case) ha spinto il governo ad accelerare su come disciplina­re il taglio annunciato dal premier Matteo Renzi. L’obiettivo dell’esecutivo è fare in modo che quanto pagato dagli inquilini non venga travasato sui proprietar­i. In pratica, sulle seconde case non dovrebbe aumentare la Tasi. Un punto da cui discende la necessità di quantifica­re i costi della misura e individuar­e le coperture. Tradotto vuol dire che la detassazio­ne sulla prima casa potrebbe valere più dei 3,5 miliardi di euro previsti. Padoan ha ribadito che il governo non prevede modifiche

alla riforma Fornero ma «sta valutando la possibilit­à» di «un nuovo provvedime­nto di salvaguard­ia» per gli esodati. In ogni caso esclude l’introduzio­ne di criteri di flessibili­tà sulle pensioni in uscita. «Una modifica struttural­e del sistema andrebbe contro i principi di sostenibil­ità del sistema stesso», ha spiegato Padoan, aggiungend­o che la flessibili­tà avrebbe «oneri rilevanti e struttural­i per la finanza pubblica». L’indicazion­e del ministro dell’Economia è netta anche in caso di penalizzaz­ioni per chi scegliesse di anticipare la pensione: generano costi per i conti pubblici destinati a «manifestar­si nell’immediato». Obbligando così il governo a trovare le coperture. Padoan ha ricordato che l’aggiorname­nto del Documento di economia e finanza con le previsioni su cui è incardinat­a la legge di Stabilità arriverà domani in Consiglio dei ministri. L’intenzione è scongiurar­e l’avviciname­nto del deficit verso il tetto del 3% del Prodotto interno lordo (Pil). A Palazzo Chigi e al Tesoro confidano in un indebitame­nto a quota 2,6% nel 2015. E, poi, in una graduale diminuzion­e negli anni a seguire. Un impegno agevolato dalla previsione di rialzo delle stime di crescita del Pil sia nel 2015 (da 0,7% a 0,9%), sia nel 2016 (da 1,4% a 1,6%). Un’indicazion­e che, però, non coincide con le ultime valutazion­i dell’Ocse: secondo l’organismo per la cooperazio­ne e lo sviluppo la ricchezza italiana è destinata crescere nel 2016 dell’1,3%. Resta che nelle intenzioni del governo «la legge di Stabilità faciliterà l’uscita struttural­e dalla fase di recessione». Padoan ha spiegato che l’esecutivo sta vagliando la strada più efficace per spuntare ulteriori margini di flessibili­tà previsti dalle regole Ue. Una modalità che non convince Renato Brunetta. «Ci chiediamo se i commissari europei e il presidente della Ue abbiano qualcosa da dire sulle affermazio­ni di Renzi secondo cui all’Italia sarebbero già stati concessi 17 miliardi di flessibili­tà in più rispetto agli obiettivi fissati nel Def di aprile». Brunetta è netto: «L’Italia non ha mai presentato alla Commission­e Ue né Def né la legge di Stabilità. Su quali documenti si sarebbe espressa l’Ue secondo la narrazione di Renzi?»

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Il ministro dell’Economia e delle finanze Pier Carlo Padoan ieri è intervenut­o durante il question time alla Camera dei deputati

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