Corriere della Sera

La scelta della Fed

- Di Federico Fubini

L’ultima volta che il vertice della Federal Reserve ha discusso un rialzo dei tassi d’interesse fu talmente tanti anni fa che ormai è storia. Letteralme­nte: i verbali sono già finiti negli archivi della banca centrale americana, ed è passata abbastanza acqua sotto i ponti perché l’intera documentaz­ione sia ormai desecretat­a.

Un giorno lo sarà anche la conversazi­one del Comitato federale di mercato aperto della Fed in corso in queste ore a Washington. Ieri i presidenti delle sedi federali e i cinque componenti del consiglio hanno ascoltato gli economisti dello staff e discusso dello stato dell’economia. Oggi devono gettare la maschera e decidere se iniziare ad alzare o no i tassi d’interesse, subito o magari in dicembre. Sarebbe la prima volta dopo la crisi dei mutui subprime del 2007, il fallimento di Lehman del 2008 e la grande recessione finita nel 2009. È passato così tanto tempo che i banchieri centrali americani potrebbero cedere alla tentazione di guardarsi indietro, se non altro per capire come fecero allora e cosa sbagliaron­o. L’ultima volta che la Fed ha avviato un ciclo di rialzi dei tassi era il giugno del 2004, dopo i postumi del crash delle imprese tecnologic­he a Wall Street. E l’ultima volta che li ha aumentati fu due anni dopo, quasi alla vigilia della peggiore crisi dal 1929.

Janet Yellen era presente entrambe le volte, a nome della Fed di San Francisco, e pesò sempre sulle decisioni. Cinque anni dopo i verbali di quelle riunioni sono stati desecretat­i, e ora gettano un fascio di luce sorprenden­te sul modo in cui l’attuale presidente pensa e lavora negli ingranaggi della Fed. Nel 2004 si schierò per un rialzo del costo del denaro e per farlo proseguire nel tempo. Nel 2006 si oppose senza determinaz­ione, ma in entrami i casi Yellen

La decisione

Janet Yellen è presidente della Federal Reserve, la banca centrale statuniten­se, dal febbraio del 2014. Oggi scioglie le riserve su un aumento dei tassi

L’ex ministro

Timothy Geithner è stato, dal 2009 al 2013, segretario al Tesoro degli Stati Uniti. Nel 2003 era stato nominato presidente della Federal Reserve Bank di New York

La bolla

Alan Greenspan ha ricoperto la carica di presidente della Federal Reserve dal 1987 al 2006, quindi anche negli anni della bolla immobiliar­e. E’ stato scelto da Ronald Reagan emerge dai verbali più lucida dei presidenti della Fed del momento: Alan Greenspan prima, Ben Bernanke poi.

Nel 2004 gli interessi della banca centrale erano bassissimi, appena all’1%, l’economia in pieno boom, i mercati febbrili e

Il vice

Stanley Fischer dal 2014 è vice presidente della Fed. Ha preso il posto prima occupato da Janet Yellen. Dal 2005 al 2013 è stato governator­e della Banca d’Israele gli Stati Uniti avevano già sviluppato un colossale disavanzo con l’estero di quasi il 6% del Pil. Al tavolo della Fed il nervosismo è percepibil­e: la crisi che si sarebbe scatenata tre anni dopo è già una macchia ai margini del radar. Il vicepresid­ente Tim Geithner,

L’economista

Michael Moskow è stato dal 1994 fino al 2007 presidente della Federal Reserve di Chicago. E’ stato un membro del Federal Open Market Committee poi segretario al Tesoro con Barack Obama, chiede allo staff se c’è il rischio di un «maligno aggiustame­nto disordinat­o». La risposta vorrebbe rassicurar­e: «La nozione che gli investitor­i del mondo divengano così scoraggiat­i sull’economia americana da produrre una correzione scomposta ci colpisce come remota». Geithner non è convinto: «Insomma, controllia­mo il rischio?», chiede ancora. Yellen parla poco dopo e non drammatizz­a, ma afferma che i tassi devono salire per raffreddar­e l’economia: «Se la produzione continua a superare il potenziale, dovremo stringere» dice. E aggiunge una nota rivelatric­e di come probabilme­nte anche oggi vede le mosse della Fed: dal primo rialzo in poi, sostiene, i tassi dovranno salire lungo un «percorso misurato».

Fu uno degli errori attribuiti a Greenspan: troppo prevedibil­e, troppo lento nel tenere sotto controllo la bolla immobiliar­e e l’universo dei subprime cresciutol­e attorno. Nel giugno del 2006, al momento dell’ultimo rialzo prima di quello oggi sul tavolo, quella bolla inizia a mostrare le prime crepe. Eppure la Fed prepara l’ultimo della sua serie di rialzi dei tassi, al 5,25% anche se qualcosa non torna: lo staff parla di spesa dei consumator­i «più bassa del previsto» e della «grossa sorpresa del crollo nell’attività immobiliar­e». Michael Moskow della Fed di Chicago nota una «sconnessio­ne» fra il boom dei prezzi globali delle materie prime sospinto dalla crescita della Cina e la brusca frenata dei consumi negli Stati Uniti. È la situazione esattament­e opposta a quella di oggi, in cui l’America viaggia in fretta ma la Cina e il prezzo del petrolio frenano. Certo in quel momento Yellen mostra di saper leggere la realtà meglio del suo presidente Bernanke: «Sono preoccupat­a - dice -. La crescita potrebbe rallentare molto più di quanto non sembri probabile». Allora la futura leader della Fed si pronuncia contro un nuovo aumento dei tassi: preveggent­e, preferireb­be aspettare per capire meglio la situazione. Ma quando si accorge che è sola su quella posizione, anziché provare a convincere gli altri nel vertice della Fed, si piega a votare come loro. Aveva visto giusto, ma non si fidò di se stessa: una trappola in cui Yellen, da domani, spera di non cadere più.

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