Corriere della Sera

Caso Kyenge, Calderoli «graziato» con l’aiuto dem

Via libera in Aula all’autorizzaz­ione per la diffamazio­ne, ma viene esclusa l’aggravante dell’odio razziale

- Alessandro Trocino

Grasso, e la direzione di lunedì del Pd: dove si voterà una linea politica, dove chiederà come in altre occasioni «non disciplina di partito, ma lealtà e responsabi­lità» ai suoi parlamenta­ri, e dove però si metteranno anche in chiaro alcune cose che forse non tutti hanno previsto, almeno finora.

Se Grasso dovesse decidere di giudicare emendabile l’articolo 2, il discusso e contestato articolo che regola il sistema elettivo dei futuri senatori, su cui le Camere si sono già espresse due volte e che per il premier è sostanzial­mente intoccabil­e, allora la contromoss­a potrebbe essere più che inattesa, addirittur­a clamorosa.

Renzi lo ha già detto ai suoi,

«Quello dell’Aula di ieri è un messaggio triste, devastante, irresponsa­bile. Getta un’ombra pesante sulla lotta al razzismo, proprio mentre in Europa cresce la xenofobia». L’ex ministro Cécile Kyenge accoglie così la decisione del Senato, che ieri era chiamato a decidere se autorizzar­e a procedere i magistrati contro Roberto Calderoli. Il vicepresid­ente leghista del Senato è accusato di diffamazio­ne aggravata da istigazion­e all’odio razziale, per aver paragonato la Kyenge a un orango. Parole incomprens­ibili, quelle dell’attuale europarlam­entare pd, se si legge la notizia secca, ovvero il via libera all’autorizzaz­ione.

Ma il voto va letto con più attenzione. Perché il senatore di Forza Italia Lucio Malan ha chiesto (e ottenuto dal presidente Pietro Grasso) il voto in parti separate del reato di diffamazio­ne e dell’aggravante di «incitazion­e all’odio razziale». Per entrambi la Giunta aveva chiesto la insindacab­ilità da parte dei magistrati. L’Aula (196 no, Pd compreso) ha deciso di votare l’insindacab­ilità solo per l’aggravante, dando il via libera alla diffamazio­ne (126 sì e 116 no). Spiega Dario Stefàno, presidente della Giunta per le autorizzaz­ioni: «Così il Pd ha salvato Calderoli. Perché il processo si regge sull’aggravante, visto che non c’è stata una querela

Leghista Il senatore del Carroccio Roberto Calderoli, 59 anni, ieri sullo scranno più alto di Palazzo Madama in qualità di vicepresid­ente di turno dell’Aula di parte della Kyenge, ma da altre associazio­ni. Venuta meno quella, cade tutto».

In ambienti del Pd si spiega che, ma non c’è la controprov­a, «se Grasso non avesse ammesso il voto per parti separate, il Pd avrebbe votato sì». Fatto sta che la decisione ha scatenato molte dietrologi­e. Il Movimento 5 Stelle ha sostenuto che il Pd avrebbe in qualche modo «graziato» Calderoli, sperando in una remissione della valanga di emendament­i sulle riforme. Nello stesso modo era stata letta la richiesta del capogruppo Luigi Zanda di rinviare la decisione, per tenere in sospeso il giudizio su Calderoli in attesa delle voto sulle riforme.

E se Zanda spiega che su questi temi c’è «la libertà di coscienza», Miguel Gotor dice di aver votato «come ha deciso il Pd, per disciplina di partito». Che la scelta abbia creato più di un imbarazzo nel partito, si desume anche dalla dichiarazi­one dura del capo delegazion­e pd a Bruxelles Patrizia Toia, che definisce la decisione «miope, inaccettab­ile e fuori dall’Europa». Europa alla quale la Kyenge ha deciso di rivolgersi per avere giustizia, con un ricorso alla Corte europea. Solidariet­à all’ex ministro arriva anche dal deputato pd di origine marocchina Khalid Chaouki. Mentre da Bergamo rimbalza il disappunto dei magistrati dell’inchiesta, che consideran­o senza precedenti la decisione di votare per parti separati reato ed aggravante e sottolinea­no come la decisione del Senato sia stata presa con ampio ritardo, visto che il termine previsto era giugno.

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