Caso Kyenge, Calderoli «graziato» con l’aiuto dem
Via libera in Aula all’autorizzazione per la diffamazione, ma viene esclusa l’aggravante dell’odio razziale
Grasso, e la direzione di lunedì del Pd: dove si voterà una linea politica, dove chiederà come in altre occasioni «non disciplina di partito, ma lealtà e responsabilità» ai suoi parlamentari, e dove però si metteranno anche in chiaro alcune cose che forse non tutti hanno previsto, almeno finora.
Se Grasso dovesse decidere di giudicare emendabile l’articolo 2, il discusso e contestato articolo che regola il sistema elettivo dei futuri senatori, su cui le Camere si sono già espresse due volte e che per il premier è sostanzialmente intoccabile, allora la contromossa potrebbe essere più che inattesa, addirittura clamorosa.
Renzi lo ha già detto ai suoi,
«Quello dell’Aula di ieri è un messaggio triste, devastante, irresponsabile. Getta un’ombra pesante sulla lotta al razzismo, proprio mentre in Europa cresce la xenofobia». L’ex ministro Cécile Kyenge accoglie così la decisione del Senato, che ieri era chiamato a decidere se autorizzare a procedere i magistrati contro Roberto Calderoli. Il vicepresidente leghista del Senato è accusato di diffamazione aggravata da istigazione all’odio razziale, per aver paragonato la Kyenge a un orango. Parole incomprensibili, quelle dell’attuale europarlamentare pd, se si legge la notizia secca, ovvero il via libera all’autorizzazione.
Ma il voto va letto con più attenzione. Perché il senatore di Forza Italia Lucio Malan ha chiesto (e ottenuto dal presidente Pietro Grasso) il voto in parti separate del reato di diffamazione e dell’aggravante di «incitazione all’odio razziale». Per entrambi la Giunta aveva chiesto la insindacabilità da parte dei magistrati. L’Aula (196 no, Pd compreso) ha deciso di votare l’insindacabilità solo per l’aggravante, dando il via libera alla diffamazione (126 sì e 116 no). Spiega Dario Stefàno, presidente della Giunta per le autorizzazioni: «Così il Pd ha salvato Calderoli. Perché il processo si regge sull’aggravante, visto che non c’è stata una querela
Leghista Il senatore del Carroccio Roberto Calderoli, 59 anni, ieri sullo scranno più alto di Palazzo Madama in qualità di vicepresidente di turno dell’Aula di parte della Kyenge, ma da altre associazioni. Venuta meno quella, cade tutto».
In ambienti del Pd si spiega che, ma non c’è la controprova, «se Grasso non avesse ammesso il voto per parti separate, il Pd avrebbe votato sì». Fatto sta che la decisione ha scatenato molte dietrologie. Il Movimento 5 Stelle ha sostenuto che il Pd avrebbe in qualche modo «graziato» Calderoli, sperando in una remissione della valanga di emendamenti sulle riforme. Nello stesso modo era stata letta la richiesta del capogruppo Luigi Zanda di rinviare la decisione, per tenere in sospeso il giudizio su Calderoli in attesa delle voto sulle riforme.
E se Zanda spiega che su questi temi c’è «la libertà di coscienza», Miguel Gotor dice di aver votato «come ha deciso il Pd, per disciplina di partito». Che la scelta abbia creato più di un imbarazzo nel partito, si desume anche dalla dichiarazione dura del capo delegazione pd a Bruxelles Patrizia Toia, che definisce la decisione «miope, inaccettabile e fuori dall’Europa». Europa alla quale la Kyenge ha deciso di rivolgersi per avere giustizia, con un ricorso alla Corte europea. Solidarietà all’ex ministro arriva anche dal deputato pd di origine marocchina Khalid Chaouki. Mentre da Bergamo rimbalza il disappunto dei magistrati dell’inchiesta, che considerano senza precedenti la decisione di votare per parti separati reato ed aggravante e sottolineano come la decisione del Senato sia stata presa con ampio ritardo, visto che il termine previsto era giugno.