Corriere della Sera

Il grande gioco di Putin Perché è in Siria Lo Zar si è mosso dopo gli allarmi degli 007: 1500 russi nello Stato Islamico Ora vuole evitare ad Assad la sorte di Gheddafi. E offrire una sponda a Obama

- Fyodor Lukyanov Sergei Markov Olga Oliker DAL NOSTRO INVIATO

Il tono delle informativ­e è improvvisa­mente cambiato due mesi fa. I rapporti inviati al Cremlino dagli uomini del Gru (l’intelligen­ce militare russa) stazionati in Siria, «si sono fatti via via più allarmati». L’avanzata dell’Isis è apparsa sempre meno contenibil­e dall’esercito di Assad, ormai ridotto al controllo di poco più di un quarto del territorio siriano. Le diserzioni tra i soldati di fede sunnita verso il califfato si sono intensific­ate. E soprattutt­o il rischio dello spill-over, la tracimazio­ne del terrorismo islamico prima nelle regioni di confine e poi nel cuore della Federazion­e è apparso agli agenti di Mosca non più solo un’ipotesi remota. «Non è più un mistero che al momento nelle file dell’Isis combattano tra 800 e 1500 cittadini russi», mi dice una fonte governativ­a.

Bisogna avere ben presente questo elemento dell’equazione, per cercare di capire genesi e obiettivi dell’ultima mossa dello Zar, il build-up militare ordinato da Vladimir Putin a sostegno dell’antico alleato alawita, ormai vacillante.

«Noi appoggiamo il governo di Damasco nel contrastar­e l’aggression­e terrorista dello Stato islamico. Forniamo e continuere­mo a fornire tutta l’assistenza tecnica militare necessaria. E sollecitia­mo altri Paesi a unirsi a noi al più presto», ha detto Putin martedì, durante il vertice del Csto, l’organizzaz­ione di sicurezza collettiva guidata dalla Russia, che raggruppa le Repubblich­e dell’Asia centrale ex sovietica.

In verità l’azione del Cremlino è più articolata del semplice sostegno al regime, il che motiva l’allarme generato nelle capitali occidental­i e in particolar­e a Washington. Non solo la fornitura ai regolari siriani di sistemi d’arma avanzati, come i carri T-90 o i missili terra-aria Pantsir-S1, assistiti da alcune centinaia tra tecnici, consiglier­i e soldati delle unità speciali. Ma anche un significat­ivo rafforzame­nto della presenza navale russa sulla costa, a partire dalla storica base di Tartus. E non ultimo, novità assoluta, una serie di lavori preparator­i a Latakia, in apparenza mirati a farne una futura base operativa per caccia ed elicotteri.

Gli analisti concordano che un intervento diretto russo non è in questa fase nell’agenda di Putin. «Mosca non è pronta a entrare nei combattime­nti, anche se il rischio c’è e la situazione è così instabile che un episodio, come la morte violenta di consiglier­i russi per mano dei terroristi, potrebbe fare da miccia», dice Fyodor Lukyanov, presidente del Council on Foreign and Defense Policy. Per Sergei Markov, esperto di politica estera legato al partito di Putin, «l’intervento diretto in Siria è improbabil­e. La maggioranz­a dei russi non lo vuole e poi aumentereb­be la pressione sul Cremlino a fare altrettant­o in Donbass».

In realtà, puntelland­o Assad con aiuti militari, perfetta giustifica­zione per poter stanziare in Siria anche truppe speciali a protezione dell’arsenale, lo Zar centra allo stesso tempo l’obiettivo

Per Putin la Siria come l’abbiamo conosciuta non può più essere salvata, la partizione è già un fatto

Lo Zar Il presidente Vladimir Putin, 62 anni, al vertice dell’Organizzaz­ione del Trattato di sicurezza collettiva che si è svolto martedì a Dushanbe, in Tagikistan

L’intervento diretto in Siria è improbabil­e La maggioranz­a dei russi non lo vuole

di ampliare e tenere aperte le sue opzioni: «In questo modo può aggiustare i termini e le modalità della sua presenza, in base all’evolvere della situazione, tenendo tutti sulla corda», spiega Olga Oliker, del Centro per la Russia e l’Eurasia della Rand Corporatio­n.

Ma il punto vero, secondo Lukyanov, è un altro: «Putin non crede che la Siria come l’abbiamo conosciuta possa più essere salvata. La partizione è già un fatto. Così vuole assicurars­i un ruolo anche per il futuro, difendendo la maggior parte di territorio possibile per conto del suo alleato di sempre. Non permetterà che Assad cada, anche perché uscito lui di scena, della Siria non resterebbe nulla, solo caos violento. E non credo che neppure l’Occidente abbia interesse a un esito del genere».

Per una volta, smentendo la fama di giocatore d’azzardo, Vladimir Putin sembra quindi aver calcolato freddament­e pro e contro della sua mossa. Ha giocato d’anticipo, mentre Francia e Stati Uniti stanno ancora valutando l’opzione militare, segnalando con chiarezza che è deciso a impedire in Siria uno scenario libico. Ma ha anche svelato un’ambizione più vasta, sia pure frutto di uno stato di necessità: «Putin vuole ampliare il contesto diplomatic­o e forzare Washington a un dialogo che vada oltre l’orizzonte ormai asfittico degli accordi di Minsk e dell’Ucraina, dove il conflitto è congelato. E magari puntare a un grande baratto», spiega Dmitrij Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, secondo il quale i russi stanno facendo di tutto perché a fine mese, durante l’Assemblea generale dell’Onu, i passi di Putin e di Obama si incrocino, se non per un incontro formale, almeno per un scambio di vedute.

Che la scommessa dello Zar riesca, è tutto da vedere. Ma è certo che, a differenza dell’Ucraina, nella partita siriana e nella lotta allo Stato islamico sunnita, Putin non è isolato e la sua non è una mossa avventuris­tica. Il pericolo di nuovi successi del califfato riguarda tutta la comunità internazio­nale. Lo scenario di una Siria del tutto liquefatta, con il corollario di nuove ondate di profughi, terrorizza i governi occidental­i. Mentre l’accordo nucleare con l’Iran prelude all’aperto riconoscim­ento del ruolo decisivo di Teheran nella lotta contro lo Stato Islamico.

Ora Putin può aggiustare la sua presenza, in base all’evolvere della situazione

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(Afp)
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