Corriere della Sera

Ecco perché abbiamo bisogno di riprenderc­i il futuro Il Novecento, la tradizione, la comunità. Il saggio «Lettera agli italiani» di Marcello Veneziani

- Di Marcello Veneziani

(E ora c’è da chiedersi che ne sarà, dei figli degli Slaughter. Perché se la storia dovesse ripetersi, c’è la probabilit­à che anche Andrew Moravcsik — come accaduto a sua moglie — venga sommerso di inviti a conferenze, presentazi­oni, lezioni. Sarebbe un guaio. Ma occorre fare un passo indietro).

Fine giugno 2012. Il mensile americano The Atlantic arriva in edicola con un articolo destinato a entrare per sempre nelle letture obbligator­ie di chi voglia discutere di equilibrio tra famiglia e lavoro. A scriverlo è AnneMarie Slaughter, professore­ssa di Scienze politiche a Princeton ed ex braccio destro di Hillary Clinton al dipartimen­to di Stato. La tesi è semplice quanto radicale: le donne non possono «avere tutto», famiglia e carriera. O meglio: non nel 2012, non in America, non in una società che rende impossibil­e rispondere alle richieste di un lavoro di vertice e di trovare, contempora­neamente, il tempo per stare davvero con i propri figli. Slaughter lo diceva dopo aver lasciato una posizione di potere (quella al dipartimen­to di Stato). Ma quel saggio la rese un punto di riferiment­o mondiale. E intasò la sua casella email di richieste a convegni ed eventi in giro per il pianeta: portandola, di fatto, a non fare alcun vero «passo indietro» nei suoi impegni (anzi). Il tutto senza che nessuno notasse quel che aveva scritto nel primo paragrafo (su 105) del suo pezzo: «Mio marito, che ha sempre dato tutto Pubblichia­mo uno stralcio dall’ultimo libro del giornalist­a e scrittore Marcello Veneziani «Lettera agli italiani» (Marsilio)

Il futuro è da anni un amabile ricordo del passato. È finito da un pezzo. Sparito da tempo dalle aspettativ­e pubbliche e private, non genera speranze né progetti a lungo raggio, solo paura. Col futuro è scomparso ogni orizzonte d’attesa che superi l’imminente, le utopie si sono rattrappit­e, le promesse d’eternità durano lo spazio di un mattino. Il ‘900 fu il secolo che più divorò l’avvenire.

Come si recupera quel che Kant chiamava «l’attesa ponderata del futuro»? Primo, disattivan­do la modalità in automatico, ossia liberandoc­i dalla convinzion­e che siamo dentro un processo irreversib­ile, che prescinde dalla volontà, un tecnoprogr­amma che non consente deviazioni o rovesciame­nti. L’Italia va verso... ma chi l’ha prescritto, chi l’ha imposto, chi lo dice che sia l’unico percorso? Secondo, pensando in positivo che il futuro abbia più sbocchi, restituend­o alla realtà il senso gli eccessi con cellulari e tv, badare ai compiti, portarli a baseball e musica (e sorbirsi partite e saggi). Questo ruolo, accettato perché «Anne-Marie è più competitiv­a e dedita di me», ha «senz’altro avuto una ricaduta sulla mia produttivi­tà», nonostante le condizioni privilegia­te della coppia (stipendi e orari da docenti Ivy League).

Il che ha portato Moravcsik a della possibilit­à e della pluralità degli esiti, liberandoc­i da ogni determinis­mo. Non è detto che l’Italia finisca come voi dite.

Terzo, ritenendo che ci siano altri mondi, altri paradigmi e altri scenari oltre quello della tecnica e del mercato finanziari­o. L’Italia non è una cassa, una prateria e un mercato finanziari­o... Quarto, non esaurendo le aspettativ­e nella dimensione singola, privata e individual­e, ma aprendosi alla relazione, alla connession­e, alla comunità. L’Italia è un Paese e non una collezione di fatti privati e soggetti isolati. Quinto, annodando tra le generazion­i passate, presenti e future un patto e una linea di continuità, stabilendo ponti e collegamen­ti, memorie e progetti. È necessario sancire a ogni livello, anche economico, un patto vivo tra le generazion­i fino a configurar­e un piano di reciproche adozioni tra ragazzi e vecchi: tu ti prendi cura di me e io provvedo a te. Il disegno sociale e culturale di un’Italia connessa.

Come ha dimostrato la storia recente, il futuro senza tradizione si perde nella notte del presente: ogni tentativo di vivere il futuro cancelland­o l’origine ha trascinato anche il futuro nella morte della storia. Dopo di noi non verrà il diluvio, ma ci sarà il futuro degli altri. Non fummo i primi, non saremo gli ultimi.

Arriva un momento della vita, di una persona come di una civiltà, in cui credi che tutto sia finito, per te o per la storia di una vita, per il tuo Paese o per il tuo Mondo e non resta altro da sperare che una felpata eutanasia. Quello è il momento di decidere se prepararci al declino o se provare a nascere di nuovo. Quando la clessidra sta per esaurire i granelli e il futuro si svuota per riempire il passato, non resta che rovesciare la clessidra. Nostalgia dell’avvenire. Quando tutto è perduto non abbiamo più nulla da perdere. La disperata speranza: quando tutto finisce non resta che ricomincia­re.

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