Trench e un tocco trasandato È il nuovo romanticismo
Le sfilate di New York: da Michael Kors a Coach. De la Renta e gli Anni 50
NEW YORK Comincia con un’ora di ritardo la sfilata di Michael Kors perché una modella si sente male (dicono per il caldo improvviso in città) e arriva l’ambulanza che se la porta via, salvo ritrovarla, la top, all’uscita nella lettiga ancora con pettina e abiti di scena, già connessa e alle prese con i selfie, con flebo zuccherina ed elettrodi. Beata beauté. Messa in sicurezza la ragazza, the show must go on, quindi. Gran bella collezione mister MK, decisamente più fresca e spigliata delle ultime. Quasi un tocco femminile nuovo (la pettinatura scompigliata e romantica e una certa trasandatezza voluta) che ben si coniuga con il maschile che lo stilista adora: «Ogni donna dovrebbe indossare qualcosa del proprio uomo». Due figure di riferimento: Elsa Peretti e Georgia O’Keeffe, creatrice (vivente) di gioielli la prima, pittrice del precisionismo la seconda. Come dire personalità da vendere. Spolverini e tailleur, abiti svolazzanti e longuette, ciabatte e tacchi a spillo, colori essenziali e stampe macrofloreaeli, canotte gonnellone, jeans e bluse sbuffanti. Una storia di fettucce e cinghie che creano ulteriore movimento attorno al corpo. Capo cool il trench: «Non puoi vivere a Manhattan se non hai un qualcosa da metterti di perfetto sopra la tenuta da yoga», dice Kors. Come dargli torto?.
Una ragazza delle praterie con vestitoni a fiori della nonna che era una ventenne negli Anni 70, gli stivaletti da cowgirl, le bisacce da Coachella, i giubbotti biker, le mini di pelle patchwork. Non è male la tipa. È vero che è anche il contesto a renderla «giusta»: la sfilata di Coach è in un box di vetri seminato a campo selvatico, sulla Highway che corre lungo Manhattan, fra le vecchie rotaie, il mare e i moli all’orizzonte, e un cielo azzurro intenso. Non una cosa così, insomma.
Narciso Rodriguez se non ci fosse bisognerebbe inventarlo perché un po’ di sana coerenza nella moda non è così disdicevole. Pur nelle sue divagazioni. Ma certo è che questo americano di origini cubane, travolto da gioie e dolori, non ha mai perso di vista la sua strada ma quel che è più interessante è che ha fatto crescere la sua donna con lui. E ora è una sofisticata e contemporanea lady che indossa abiti di seta tutti una costruzione d’ingegneria dello sbieco che si gonfiano al minimo soffio, lasciano le braccia scoperte e hanno spacchi profondi. Top drappeggiati a mo’ di morbidi corsetti, anche di pelle. Pantaloni maschili sciolti. Anche se lo stilista confessa di aver «un tantino smorzato» i toni della sua proverbiale sensualità l’effetto non cambia, semplicemente è una femminilità più loose, sciolta, termine in gran spolvero a Manhattan.
Tocchi loose persino da Oscar de la Renta, per la prima stagione vera senza il creatore della maison, ma guidata dall’allievo, quel Peter Copping che è arrivato pochi giorni prima la morte dello stilista. Espadrillas (uno dei massimi dell’eleganza rilassata) e taffetà (uno dei massimi dell’eleganza couture) per il vero esordio dell’inglese: uno stile Ava Gardner quando negli Anni 50 conobbe in Spagna de la Renta.