Corriere della Sera

Saba aveva il gusto di provocare, anche di fronte a Togliatti

- Di Antonio Debenedett­i

Sul «Corriere» di martedì 15 Paolo Mieli ha recensito il libro di Roberto Curci «Via San Nicolò 30» (Il Mulino), dedicato alle persecuzio­ni antisemite nella Trieste occupata dai nazisti. Dal libro l’articolo di Mieli riportava alcune frasi sconcertan­ti del poeta Umberto Saba, di madre ebrea, che all’indomani della guerra inveiva contro il mondo israelita. «Gli ebrei in quanto tali — scriveva tra l’altro Saba — la cui maggiore responsabi­lità consiste nell’essere stati i maggiori apportator­i nel mondo del senso di colpa, cioè della sola effettiva colpa che esisteva, dovrebbero cessare di esistere». Antonio Debenedett­i, che ha conosciuto personalme­nte Saba, ha preso spunto dall’articolo per scrivere la seguente lettera.

Caro Paolo Mieli, considerav­o Saba una specie di nonno. Gli volevo bene anche osservando la consideraz­ione e la premura con cui lo trattavano i miei genitori quando, nell’immediato dopoguerra, fu a lungo ospite in casa nostra. Volevo allora aggiungere, dopo aver letto il tuo coinvolgen­te articolo Ebrei nemici degli ebrei, una mia testimonia­nza. Sento di doverla al grande poeta e ancora più grande prosatore che è stato Saba.

Sapendo che mio padre Giacomo, cui è dedicata la Storia e cronistori­a del Canzoniere, aveva scritto una serie di conferenze sui profeti, un giorno gli disse, anzi gli sparò in pieno petto queste parole: «I profeti portano sciagura». Era quello il modo, tipicament­e sabiano, di provocare per essere poi perdonato e sentirsi dunque nel perdono più amato.

Ancora. Una sera, a casa dei miei genitori, Saba si trovò in compagnia di Togliatti. Anziché rendergli omaggio, come altri convitati, il poeta del Canzoniere gli si avvicinò recitandog­li una sua poesia sulle mani della Duchessa d’Aosta. Gelo in sala. Togliatti, divertito, conquistò viceversa Umberto tenendogli una lezione sulla casata sabauda. Ho riportato l’episodio nel mio libro Giacomino, nato anch’esso da un sabiano desiderio (non capito da taluni amici troppo amici o troppo nemici, non so) d’essere perdonato del mio ecces- sivo amore per il padre.

Di personale posso aggiungere che venendomi a prendere a scuola, nell’immediato dopoguerra, un giorno Saba mi disse: «Ricordati, stupidello, tutto ciò che è nero è cattivo. I preti, i fascisti».

Sapeva che io, cattolico di religione per volontà di mia madre di antica famiglia cattolica, passavo ogni sera mezz’ora (lo faccio ancora adesso, arrabbiand­omi con me stesso) inginocchi­ato a pregare. Mi provocava perché mi voleva bene, andavamo insieme a Testaccio e mi comprava cartocci di olive perché Giacomo (mio padre) non voleva che mangiassi le olive. L’ebraicità è un privilegio che si sconta vivendo.

A proposito dei mezzi ebrei, come lo era Saba e lo sei anche tu, posso anche aggiungert­i, caro Paolo, che Umberto diceva: «I mezzi ebrei sono due volte ebrei perché si vedono essere ebrei». Io, in queste parole che ho trascritto nel mio Giacomino, mi ci riconosco. E tu? Spero di sì. Con affetto.

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 ??  ?? Antonio Debenedett­i (in alto) e Paolo Mieli. A destra: Umberto Saba ritratto da Carlo Levi
Antonio Debenedett­i (in alto) e Paolo Mieli. A destra: Umberto Saba ritratto da Carlo Levi
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