Modena «Niente sfarzo né musica». In mostra i testamenti dei grandi italiani
Da domani con il Festival della Filosofia
Le ultime volontà sono spesso una sintesi estrema di un’intera esistenza. Il destino di famiglie, aziende e imperi è da sempre legato alla «roba». Sarà per questo che domani, in occasione della prima giornata del Festival della Filosofia di Modena, debutta (presso il Palazzo Comunale) la mostra Io qui sottoscritto. Testamenti di grandi italiani. L’esposizione, curata dal Consiglio nazionale del notariato e dalla Fondazione italiana del notariato, narra la storia d’Italia attraverso un punto di vista inedito: i testamenti dei grandi italiani.
Uscendo dagli oscuri e polverosi archivi in cui erano custoditi, questi documenti mostrano un’inaspettata vitalità persino attuale. Da Manzoni a Cavour, da Paolo VI a Ferrari, Verga e Marconi, i testamenti non raccontano soltanto di lasciti e spartizioni ma racchiudono passi di contenuto morale, filosofico e politico.
Proprio la politica, per esempio, è la protagonista della parte finale delle ultime volontà di Giuseppe Garibaldi che si augura di vedere «il compimento dell’unificazione dell’Italia. Ma se non avessi tanta fortuna, raccomando ai miei concittadini di considerare i sedicenti puri repubblicani col loro esclusivismo, poco migliori dei moderati e dei preti, e come quelli nocivi all’Italia. Per pessimo che sia il Governo Italiano, credo meglio attenersi al gran concetto di Dante: Fari. al Palazzo Comunale fino al 18 ottobre. In mostra anche il testamento di Luigi Pirandello (foto)
Saggiatore)
Il libro viene presentato oggi a Milano con Edoardo Camurri e Francesca Alfano Miglietti (Fondazione Pini, ore 18.30, ingresso libero) re l’Italia anche col Diavolo».
Qualche anno dopo, il 27 gennaio del 1901, muore a Milano Giuseppe Verdi. Privo di eredi diretti e titolare di un enorme patrimonio, il maestro destina tutto in beneficenza. Verdi lascia anche le istruzioni per il suo funerale: da svolgere all’alba o al tramonto, senza sfarzo né musica. È noto poi che non meno di centomila persone seguirono in silenzio il feretro del compositore.
Delle esequie si preoccupa anche Luigi Pirandello che nel suo testamento spirituale lascia le ultime volontà: «Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei povemente Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui». L’uomo che aveva passato la vita a raccontare le infinite sfaccettature dell’esistenza umana, colui che aveva indagato i mille volti di una stessa verità, decide di compiere l’ultimo passo in silenzio, chiudendosi la porta alle spalle, senza un saluto, senza un pensiero. Un tratto di assoluta coerenza invece caratterizza il testamento di Angelo Giuseppe Roncalli, che diventato Papa prende il nome di Giovanni XXIII: «Nato povero, ma da onorata ed umile gente, sono lieto di morire povero avendo distribuito, secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa, quanto mi venne fra mano».
Una galleria, lunga 150 anni, di ultime volontà che raccontano, senza filtri, l’animo, le scelte morali, etiche e civili degli uomini che hanno «fatto» l’Italia.
Non solo lasciti e spartizioni, ma anche passi di contenuto morale, filosofico, politico