PINACOTECA GLOBALE
A MILANO IL TESORO DI BUDAPEST L’ANIMA DI UN PAESE CHE VOLLE DIVENTARE UN PEZZO DI EUROPA
La mostra A Palazzo Reale i capolavori del Museo di Belle Arti. Da Tiziano a Monet, lo spirito di un’Ungheria che nell’Ottocento come oggi oscillava tra ragion di Stato e solidarietà. E che trovò in un patriota il paladino della cultura
AMilano passeggiava il maresciallo Radetzky mentre a Buda, non ancora Budapest, piuttosto che sulle quote dei migranti, gli ungheresi discutevano su quante reclute inviare in Italia per reprimere i moti democratici.
Il pendolo del dibattito oscillava, nel 1848 come oggi, tra ragion di Stato e solidarietà tra le genti. Fu Lajos Kossuth, il padre della patria magiara, ad escogitare un compromesso per il quale l’esercito ungherese si sarebbe mosso a favore di una pace «conveniente alla dignità di Sua Maestà – l’imperatore d’Austria, ndr – come ai diritti e alle giuste esigenze della nazione italiana». Il trucchetto retorico non bastò. I cannoni austriaci spazzarono le barricate delle 5 Giornate milanesi per poi mettere in fuga il «presidente» Kossuth. C’è anche questo nell’impressionante mostra che si inaugura il 17 settembre al Palazzo Reale di Milano. Settantasei tra dipinti, sculture e disegni dei più grandi artisti d’Europa che segnano lo sforzo di un Paese, l’Ungheria, di ancorarsi ai valori dell’Europa Occidentale con l’arte e il bello. Un esercizio che continua ancora. Non solo a Budapest.
«Due secoli di dominazione ottomana avevano lasciato ferite profonde — racconta il curatore, Stefano Zuffi — e l’Impero austriaco tendeva periodicamente ad annegare le individualità. Kossuth diede l’impulso alla creazione di un’identità nazionale e chi lo seguì continuò a puntare sulle collezioni d’arte per costruire un tesoro nazionale che permettesse a Budapest di non sentirsi periferia, ultimo lembo della cristianità, confine della civiltà». Raffaello, Leonardo, Tintoretto, Canaletto, Tiepolo, Parmigianino, Lorenzo Lotto, Annibale Carracci, la sovra rappresentazione del nostro Rinascimento alla mostra non è un omaggio a Milano, ma il riflesso dell’enorme importanza della sezione italiana al Museo di Belle Arti di Budapest che possiede una delle raccolte più belle e meno valorizzate del mondo. «Il Museo ungherese è in ristrutturazione e ciò ci ha permesso di ottenere in prestito un numero tanto alto di opere straordinarie» spiega Zuffi. Dopo un anno è potuta così tornare a Milano la Madonna di Esterházy già esposta «in singolo» nel Natale 2014 a Palazzo Marino. Ma mancano pochi dei grandi maestri europei e, proprio come avrebbe voluto Kossuth, sono fianco a fianco con i migliori ungheresi.
Dürer, Velázquez, Rubens, Goya, Manet, Monet, Cézanne, Gauguin, Rodin, van Dyck, Schiele: chiunque può trovare il preferito. La mostra è allestita in un ambiente neo classico, ricostruito in grigio e bordeaux, proprio a richiamare le atmosfere ottocentesche dei grandi musei dell’epoca. Le sale, purtroppo non abbastanza grandi per tale quantità di bellezza, sono immerse nel buio con l’illuminazione su ogni tela a fare la differenza. Buone anche le didascalie e l’audioguida.
Otto sale per otto periodi o correnti stilistiche fanno dell’esposizione un lussuoso bigino di storia dell’arte, una pinacoteca globale dello spirito europeo. Da Raffaello Sanzio a Egon Schiele come recita il titolo, dal nostro Rinascimento alle Avanguardie del primo Novecento, passando da un’osteria dipinta da Velázquez quando giocava ancora a fare il Caravaggio, all’irriverente «Sbadiglio» di Franz Xaver Messerschmidt (1771-1783).
I primi visitatori avranno il privilegio di vedere un inconsueto disegno di Van Gogh (Giardino in inverno a Nuenen del 1884). Per evitare che la luce la rovini l’opera verrà sostituita con un’altra a dicembre. Ma questa merita di essere vista. Il maestro del colore olandese, perennemente senza soldi, sfodera un bianco e nero strepitoso, con rami che si abbracciano e un chiaro scuro che trasmette il freddo della campagna.
«È un’occasione preziosa per conoscere le radici della cultura europea» ha detto l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Filippo Del Corno. Anche Lajos Kossuth sarebbe stato d’accordo.