Corriere della Sera

L’angelo di Baudelaire Il fiore (nero) del male

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Volendo citare Karl Kraus, lui «con le donne monologava spesso». Se le sceglieva taciturne, spaesate, andava pazzo per le statue femminili in cera (una volta ad una di queste disse: «Cara signora, lei sì che sa amare come si conviene»). Charles Baudelaire, però, va capito: a trentasei anni, quando pubblicò Les fleurs du mal, della vita aveva già visto tutto: aveva dilapidato il patrimonio di famiglia, provato a raggiunger­e le Indie, fumava varie cose e, come se non bastasse, amava una mulatta, una donna irsuta e un po’ dannata, naturalmen­te invisa a suoi. Jeanne Duval aveva i capelli crespi, lo sguardo fosco, era alta, massiccia, vagamente equina. L’amico del poeta, Édouard Manet le fece il ritratto (che è arrivato a Palazzo Reale) nel 1862. La Donna con ventaglio sapeva come stare vicino al «maudit»: attricetta di origini haitiane, forse figlia di una prostituta, se ne stava buona ai suoi piedi, lo ascoltava, si lasciava accarezzar­e la criniera sempre più secca come una gatta che invecchia con indifferen­za annoiata. Silenziosa­mente gli passò più di una malattia venerea, si abituò a sentirsi definire «negra». Niente di strano, l’esotismo femminile della pelle scura era in voga, lo stesso Manet dipinse più di una creola — si guardi lo spiazzante Olympia. Jeanne si fece amare e odiare da Charles. Si fece possedere e lasciare (lui ebbe almeno altri due grandi amori, Apollonie Sabatier e Marie Daubrun), ma non se ne andò mai. Continuò a tenerlo legato a sé con una strana osmosi fatta di umori e malesseri, inferni e paradisi artificial­i. Quando poi entrambi furono colpiti da paralisi, non riuscirono più a staccarsi e quell’amore linfatico divenne una specie di patto assistenzi­ale, infermeria dei sentimenti tardivi. Curiosità: Jeanne compare anche (accanto a Baudelaire) nel famoso dipinto di Courbet, L’atelier du peintre. Poi però il suo volto è stato ricoperto di colore, tornando alla luce solo di recente, dopo un lavoro fotografic­o. Nessun problema per chi impara presto a mimetizzar­si. Cupezza «Donna con ventaglio», di Édouard Manet, 1862

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