L’angelo di Baudelaire Il fiore (nero) del male
Volendo citare Karl Kraus, lui «con le donne monologava spesso». Se le sceglieva taciturne, spaesate, andava pazzo per le statue femminili in cera (una volta ad una di queste disse: «Cara signora, lei sì che sa amare come si conviene»). Charles Baudelaire, però, va capito: a trentasei anni, quando pubblicò Les fleurs du mal, della vita aveva già visto tutto: aveva dilapidato il patrimonio di famiglia, provato a raggiungere le Indie, fumava varie cose e, come se non bastasse, amava una mulatta, una donna irsuta e un po’ dannata, naturalmente invisa a suoi. Jeanne Duval aveva i capelli crespi, lo sguardo fosco, era alta, massiccia, vagamente equina. L’amico del poeta, Édouard Manet le fece il ritratto (che è arrivato a Palazzo Reale) nel 1862. La Donna con ventaglio sapeva come stare vicino al «maudit»: attricetta di origini haitiane, forse figlia di una prostituta, se ne stava buona ai suoi piedi, lo ascoltava, si lasciava accarezzare la criniera sempre più secca come una gatta che invecchia con indifferenza annoiata. Silenziosamente gli passò più di una malattia venerea, si abituò a sentirsi definire «negra». Niente di strano, l’esotismo femminile della pelle scura era in voga, lo stesso Manet dipinse più di una creola — si guardi lo spiazzante Olympia. Jeanne si fece amare e odiare da Charles. Si fece possedere e lasciare (lui ebbe almeno altri due grandi amori, Apollonie Sabatier e Marie Daubrun), ma non se ne andò mai. Continuò a tenerlo legato a sé con una strana osmosi fatta di umori e malesseri, inferni e paradisi artificiali. Quando poi entrambi furono colpiti da paralisi, non riuscirono più a staccarsi e quell’amore linfatico divenne una specie di patto assistenziale, infermeria dei sentimenti tardivi. Curiosità: Jeanne compare anche (accanto a Baudelaire) nel famoso dipinto di Courbet, L’atelier du peintre. Poi però il suo volto è stato ricoperto di colore, tornando alla luce solo di recente, dopo un lavoro fotografico. Nessun problema per chi impara presto a mimetizzarsi. Cupezza «Donna con ventaglio», di Édouard Manet, 1862