Morte di Andrea in fuga dai bulli del web
Preso di mira sui social, aveva cancellato il profilo. Poi non ha retto e si è ucciso
Andrea Natali, 26 anni, si è tolto la vita impiccandosi in camera sua a Borgo d’Ale (Vercelli). Ma dietro c’è una storia di bullismo, di atroci scherzi sul luogo di lavoro. Di filmati e foto postati sui social network che lo avevano fatto cadere in una depressione senza ritorno. La psicologa che lo curava l’aveva convinto a denunciare tutto, un collega di lavoro era stato indagato. Troppo tardi.
«Me l’avete ucciso, avete ucciso voi il mio Andrea...!». La rabbia di Federico Natali esplode sul sagrato della chiesa di Borgo d’Ale, paese in provincia di Vercelli, dove è appena stato dato l’estremo saluto a un ragazzo sfortunato. Andrea Natali, 26 anni, ufficialmente si è tolto la vita impiccandosi nella sua camera da letto; ma dietro c’è una storia di bullismo, di atroci scherzi sul luogo di lavoro, filmati, fotografati e postati sui social network che avevano fatto cadere Andrea in una depressione senza ritorno.
Tutto è raccontato anche in una denuncia che Andrea, incoraggiato dalla psicologa che lo curava, aveva presentato un anno fa alla Polizia postale di Biella; gli inquirenti avevano dato seguito a quella segnalazione, avevano rintracciato le immagini e avevano indagato un ex collega di lavoro di Andrea.
«La polizia non ha avuto il coraggio di farmi vedere tutto — racconta in lacrime Federico Natali, il padre della vittima —. So solo che più volte mio figlio è stato gettato nel bidone dell’immondizia, fotografato e filmato. Ci sono anche cose più pesanti ma non mi sono state riferite e io non ho avuto il coraggio di guardarle sul computer». Andrea lavorava in una carrozzeria di Borgo d’Ale dal 2006: appassionato di motori, iscritto al club locale dell’Alfa Romeo, ma con un carattere debole, introverso. Di quelli che nella piccole cerchie di amici finiscono sempre per essere messi in mezzo, vittime predestinate delle crudeltà del gruppo.
«Può darsi che all’inizio siano stati scherzi innocenti — racconta ancora papà Federico — ma col tempo devono essersi fatti più umilianti e pesanti. Fino a quando i nervi di mio figlio hanno ceduto. Mi ricordo il giorno preciso: il 22 ottobre del 2013 Andrea è tornato a casa fuori di sé, non riusciva a parlare ma solo a urlare. Da quel giorno a noi non ha più detto niente di quel che gli era accaduto e non ha più voluto presentarsi al lavoro né uscire di casa».
Andrea entra in cura per una grave forma di depressione, la psicologa riesce a conquistarne la fiducia, si fa raccontare quel che ha subito. «Ed è stata proprio la dottoressa a convincere Andrea a presentare la denuncia» spiega il padre. Il dipartimento della Polizia postale del Piemonte conferma il particolare, aggiunge che furono avviate le indagini che portarono alla denuncia di uno dei responsabili degli scherzi e alla rimozione dei profili (su Facebook e YouTube) su cui erano stati postati i video e le foto di Andrea messo alla berlina. Il percorso giudiziario (il processo non è ancora iniziato) non era stato però di conforto per Andrea Natali, che non era riuscito a tornare a una vita normale, anzi si è arrivati al tragico epilogo del suicidio, a quel corpo scoperto privo di vita nel luogo che voleva essere l’ultimo rifugio protetto.
«Negli ultimi tempi — ecco ancora la testimonianza del papà — ci ripeteva in continuazione: “Io voglio tornare al lavoro, voglio dare una mano a voi e a mio fratello che è disoccupato”. Però poi non riusciva a fare un passo fuori di casa da solo: era spaventatissimo all’idea di ritrovarsi davanti a chi lo aveva ridotto in quello stato. Lui era un buono, troppo buono: sono sicuro che sarebbe stato disposto anche a perdonare chi lo tormentava. Non ne ha avuto il tempo. Anche io non voglio che adesso qualcuno vada in galera per questa brutta storia: voglio solo che i responsabili paghino, paghino con quello che hanno e che i soldi vadano in beneficenza alle associazioni dei volontari di Borgo d’Ale».
L’indagine Dopo l’esposto della psicologa alla Polizia postale era indagato un ex collega di lavoro La paura «Era terrorizzato dall’idea di vederli ancora. La sua colpa? Era troppo buono»