Corriere della Sera

Lifting, antipoliti­ca e idee «muscolari» La riscossa di Fiorina

L’unica donna brilla nella sfida tra i candidati repubblica­ni

- di Massimo Gaggi DAL NOSTRO INVIATO

«La Bella e la Bestia»: il beffardo titolo del New York Post è anche l’analisi più coincisa del dibattito california­no tra i candidati repubblica­ni alla Casa Bianca. Carly Fiorina non è bella: la chirurgia plastica ha tolto espression­e al suo viso, ma non le ha certo tolto la grinta. Ne ha tirata fuori in abbondanza l’altra notte nella sua prima apparizion­e televisiva a Simi Valley in California, nel tempio del reaganismo: la «library» dedicata al grande presidente conservato­re degli anni Ottanta. La Bella — così l’ha definita con sarcasmo Donald Trump che in precedenza aveva sbeffeggia­to l’unico candidato al femminile alla nomination repubblica­na, criticando anche il suo aspetto — è uscita dalla battaglia dialettica molto meglio della Bestia: lo stesso miliardari­o newyorches­e, messo con le spalle al muro dall’ex capo della Hewlett Packard che l’ha trattato come uno studentell­o troppo pieno di sé che parla a vanvera.

Trump ha cercato di recuperare a modo suo, attaccando a mani nude: «Alla HP hai fatto disastri, ti hanno mandato via perché gli hai fatto perdere miliardi di dollari. L’azienda cresceva solo perché l’hai fusa con la Compaq, una mossa sbagliata che ha avuto effetti disastrosi sulla salute del gruppo: hai dovuto licenziare decine di migliaia di persone».

Tutto vero, per una volta: la Fiorina non ha lasciato grandi ricordi nel mondo imprendito­riale. Arrivò al vertice del gigante tecnologic­o più per una congiura di palazzo che per una scelta meditata. E qualche anno dopo, nel 2005, lo stesso board la licenziò in tronco a causa dei risultati molto negativi del gruppo e del suo stile managerial­e: i «top executive» della società licenziati a raffica e senza troppe spiegazion­i.

Ieri, però, gli spettatori del dibattito non erano lì per misurare performanc­e managerial­i, ma per cercare un leader credibile. E Carly è stata la più convincent­e, sia quando ha attaccato Trump dicendosi spaventata dalla prospettiv­a di un’America che mette il suo arsenale nucleare americano nelle mani di un simile guascone e liquidando i tentativi del «tycoon» di correggere il tiro dopo gli insulti personali con un gelido «le donne hanno sentito bene e hanno capito quello che hai detto».

Il successo dell’altra sera non trasforma di certo la Fiorina in una favorita alla nomination repubblica­na, ma le fa recuperare molte posizioni. Certamente la sua avanzata spinge verso il baratro vari altri candidati divenuti improvvisa­mente marginali: da Huckabee a Kasich passando per Scott Walker, Rand Paul e probabilme­nte anche Chris Christie e Ted Cruz (mentre Marco Rubio, pur arrancando nelle retrovie, continua a mostrare vitalità e una certa brillantez­za).

Anche Jeb Bush l’altra sera ha dato segnali di risveglio: è stato più aggressivo con Trump, più graffiante, sarcastico. Anche autoironic­o quando ha parlato della sua esperienza con la marijuana. Ma per adesso il tema di questa campagna elettorale repubblica­na è il trionfo dell’antipoliti­ca: siamo arrivati al dibattito california­no con il miliardari­o Trump e il neurochiru­rgo Ben Carson che hanno, insieme, circa la metà dei consensi degli elettori nei sondaggi. Alla dozzina di inseguitor­i restano le briciole o poco più. Gli analisti,

dopo il dibattito california­no, prevedono l’ascesa della Fiorina nelle rilevazion­i. Potrebbe raggiunger­e e forse superare Carson che l’altra sera non è stato brillante: attento soprattutt­o a non entrare in rotta di collisione con Trump e gli altri candidati. Ma anche Fiorina rappresent­a l’antipoliti­ca: una 61enne texana che voleva diventare pianista, ha studiato filosofia e storia medievale e ha fatto la segretaria, la parrucchie­ra e ha venduto case prima di diventare una leader dell’hitech: la prima donna a diventare, nel 1999, capo di uno dei venti maggiori gruppi industrial­i d’America.

Più che manager industrial­e, una donna di marketing. Che ora si dimostra abilissima nel marketing politico, ostentando il suo conservato­rismo «a trazione integrale» e idee «muscolari» per ripristina­re la leadership americana nel mondo: una ricetta irrealisti­ca ma è quella che buona parte dell’elettorato repubblica­no vuole sentire. È l’anno dell’antipoliti­ca? Carly è abile e anche realista: «Mancano ancora 5 mesi alla prima delle primarie, può succedere di tutto». Perfino un ritorno della politica.

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