Corriere della Sera

Se perde tornerà a fare opposizion­e alla troika Se vince andrà al potere con formazioni minori

-

La Grecia si sarebbe risparmiat­a volentieri il quarto voto in tre anni. Dopo i mesi più agitati della storia recente, con l’effimera esaltazion­e per il referendum, i brutali negoziati a Bruxelles e le notti bianche in Parlamento per approvare il nuovo accordo con l’Europa, nessuno sentiva il bisogno di ulteriori scossoni. Ma non è solo per questo che i gazebo dei partiti nel centro di Atene sono desolatame­nte vuoti e in giro si vedono pochi cartelloni elettorali.

Quel che doveva essere è stato, lo sanno tutti. Il futuro prossimo di un Paese dove un terzo della popolazion­e vive sotto la soglia della povertà si è deciso in questa drammatica estate. Con il pericolo dell’uscita dall’euro e di un suo crollo ormai scongiurat­o, l’emergenza greca è uscita in fretta dalle luci della ribalta mediatica. Il resto erano e sono questioni di politica interna, come queste elezioni, dove il vincitore non avrà molti onori ma piuttosto l’onere di un terzo memorandum e delle conseguent­i riforme da far digerire ai suoi compatriot­i. La scelta non è tra due alternativ­e di governo, come sempre dovrebbe essere, ma riguarda soltanto la composizio­ne della maggioranz­a che sarà chiamata a tenere fede agli impegni sottoscrit­ti con l’Unione europea in cambio del nuovo prestito da 86 miliardi.

Anche la sorte di Alexis Tsipras e di quel progetto politico di sinistra al tempo stesso radicale e di governo chiamato Syriza sembra interessar­e più all’estero che in patria. Le scosse di quel luglio turbolento avevano spaccato il partito e minato la sua maggioranz­a di governo. Quando alla fine di luglio convocò le elezioni ottenne applausi per la mossa sagace, ispirata da un notevole realismo. La sua popolarità era alle stelle, e per quanto divisa Syriza si trovava 10 punti sopra il più diretto concorrent­e. Ma in un Paese così provato dalla crisi e dall’ottovolant­e emotivo al quale è stato sottoposto negli ultimi tempi, il vento gira in fretta. Syriza viene data alla pari o addirittur­a appena dietro Nea Demokratia, il partito di centrodest­ra da sempre favorevole all’accordo con Bruxelles e fornitore di voti per l’approvazio­ne dell’ultimo memorandum.

I sondaggi greci hanno lo stesso valore di quelli nostrani, l’affidabili­tà non è il loro requisito primario. Eppure qualcosa nella percezione della figura di Tsipras è cambiato, almeno a casa sua. La trasformaz­ione da utopico tribuno a pragmatico uomo di governo comporta un prezzo da pagare. L’entusiasmo nei confronti dell’ex golden boy della sinistra europea è ai minimi termini tra

Sfiducia diffusa Difficile ottenere la maggioranz­a di 151 seggi, mancata anche alla scorsa tornata, quando era davvero una novità rispetto agli altri

alle ultime elezioni, quando il partito si presentò unito e con in poppa il vento della sua diversità rispetto a un panorama di macerie. Oggi l’elogio estivo di Tsipras e del suo coraggio nell’accettare un compromess­o imposto da Bruxelles sembra aver lasciato il passo a un condiviso sentimento di sfiducia, con il classico «sono tutti uguali» a fare da rumore di fondo. In tempi così difficili un governo di unità nazionale tra due partiti che dicono la stessa cosa avrebbe una sua logica e servirebbe almeno a dividere le responsabi­lità. Ma una alleanza con Nea Demokratia, al governo dal 2004 al 2008, artefice di un boom economico fasullo come una moneta di cioccolato, sarebbe davvero troppo per i militanti di Syriza. La frattura al suo interno diventereb­be insanabile. E infatti Tsipras ha rispedito al mittente le offerte interessat­e di Vangelis Meimarakis, leader a tempo di Nea Demokratia, un partito che sembrava allo sbando e invece appare risorto proprio grazie alla debolezza altrui.

Tra paradossi nonché corsi e ricorsi storici, domenica sera la Grecia potrebbe ritrovarsi con un governo simile a quello che aveva appena lasciato, Syriza insieme a 2-3 partiti minori. In ogni caso, piccolo cabotaggio su una strada già segnata. I furori e le speranze dello scorso gennaio non abitano più qui. E l’apparente normalità di queste elezioni rappresent­a forse il primo segnale di una nuova fase, ma non basta per ridare spinta ed entusiasmo a un Paese sempre più disilluso.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy