Corriere della Sera

L’export continua a trainare la ripresa ma siamo 20 punti dietro la lepre tedesca

- Di Dario Di Vico

La notizia è buona e viene dall’Istat: l’export continua a tirare (+6,3% di luglio 2015 su luglio 2014) nonostante il rallentame­nto dei Bric e l’embargo verso la Russia. Sono gli Stati Uniti — un mercato che continua a valere per noi tre volte la Cina — a dare spazio alle nostre merci con un +22,9% fatto registrare nello stesso periodo. Negli States cresciamo non solo per il rapporto più equilibrat­o tra euro e dollaro ma anche per la qualità delle nostre produzioni visto che viaggiamo a una velocità doppia rispetto alla media dei Paesi euro. Vale la pena sottolinea­re come la crescita complessiv­a dell’export (Usa e non) non sia un exploit del solo luglio, infatti confrontan­do gli interi primi sette mesi del 2015 con il periodo equivalent­e del 2014 l’incremento è comunque elevato: +5,2%. Le buone notizie si completano con il saldo positivo della bilancia commercial­e che ha fatto segnare il record di più 26,5 miliardi di euro. In un Paese come il nostro attentissi­mo ai decimali di incremento del Pil un rinnovato slancio delle esportazio­ni costituisc­e un ottimo viatico.

Al di là dei dati quantitati­vi cerchiamo però di focalizzar­e il rapporto tra export e incremento del Pil. L’Italia è un Paese trasformat­ore ed è quindi «condannato» ad avere un livello di importazio­ni elevato, quando scendono ci si deve preoccupar­e perché vuol dire che servono meno munizioni (leggi beni intermedi) e l’economia sta cadendo. Un esempio tipico è quello dell’industria alimentare debitrice con l’estero per molte materie prime ma capace poi di ri-esportare in grandi quantità e con un ottimo valore aggiunto. Ed è appunto ciò che è avvenuto negli ultimi due anni: le esportazio­ni italiane hanno preso via via a sorpassare le importazio­ni al rialzo e in virtù della crescente integrazio­ne delle medie imprese nelle catene globali del valore è cresciuto anche il contributo al Pil. Reso possibile anche da un progressiv­o spostament­o delle produzioni italiane verso l’alto di gamma.

Ma l’export potrà darci un contributo ancora maggiore ai fini della crescita auspicata? Gli esperti sostengono che ci sono tutte le potenziali­tà. Se nel rapporto export/Pil prendiamo come benchmark la Germania la distanza tra la nostra propension­e a vendere (fuori) merci/servizi e la loro è ancora di circa 20 punti. E’ possibile recuperarl­i? Si può ridurre il gap rafforzand­o l’integrazio­ne internazio­nale delle 15 mila aziende italiane che esportano stabilment­e e estendendo la presenza delle circa 60 mila che hanno appena cominciato. Secondo il professor Fabrizio Onida dell’università Bocconi anche da questo versante si arriva però a fare i conti con la ridotta dimensione media delle nostre imprese, laddove per essere presenti almeno su due mercati ci vuole massa critica. Quanto ai mercati di sbocco continuere­mo a scommetter­e sugli Usa perché le potenziali­tà oltre-oceano sono giudicate ancora largamente inespresse.

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