Un’infanzia felice e spaventosa
Enzo Fileno Carabba e l’epica di una famiglia. Al centro, un giovane Holden abruzzese
C’è stato un tempo (in parte c’è ancora) che gli scrittori italiani disponevano della formula magica per scrivere il perfetto romanzo nazionalpopolare: bastava digitare la password «Primo Maggio» o qualcosa di simile. Anche Enzo Fileno Carabba in La zia subacquea e altri abissi famigliari, Mondadori, un romanzo che è il nostro Giovane Holden (quando avrete finito di leggerlo vi mancherà da morire proprio come diceva Salinger del suo capolavoro), cita il Primo Maggio ma lo fa a modo suo. Succede che il protagonista è nato proprio il giorno della festa dei lavoratori e, quando era bambino, il nonno (personaggio gigantesco) gli spiegò che le bandiere rosse sventolanti in quella data gloriosa erano in onore del suo compleanno. E lui ci credette, quel tribute da rockstar era per il suo genetliaco.
Ogni bambino, per un tempo purtroppo limitato, è una rockstar. È adorato come una rockstar ma ne ha anche le inquietudini. È quello che capita al protagonista (che chiamerò Enzo, ma non fidatevi mai dell’autobiografismo degli scrittori, Carabba è stato un autore di letteratura fantastica, sin dagli esordi quando, giovanissimo, vinse il premio Calvino con un fantasy, genere allora non proprio di moda, ed ebbe l’entusiastica sponsorizzazione di un musicista difficile e raffinato come Sylvano Bussotti).
Enzo è visitato sin da piccolo da presenze angosciose. Le più inoffensive, paradossalmente, sono quelle dei maniaci che frequentano i parchi dove giocano i bimbi. Nel romanzo, con mossa da campione, i maniaci sono descritti come se fossero zombi, appiccicaticci e gelatinosi. Ma sono le presenze notturne le più temibili. La strega Nocciola di Walt Disney, per dire, oppure il diavolo in persona, un diavolo che sfoggia un’araldica letteraria di prim’ordine. Uno zio di Enzo, infatti, ha l’abitudine — oltre a cantargli le canzoni di Paolo Conte trasmettendogli subliminali messaggi («La fuga nella vita chi lo sa/ che non sia proprio lei la quintessenza») — di raccontargli sue personalissime cover (nella memoria del protagonista addirittura superiori agli originali) di grandi opere, come Doctor Faustus di Mann e Il Maestro e Margherita di Bulgakov, che in quanto a entità demoniache non lasciano proprio a desiderare. E così al calare delle ombre per il ragazzo si fa dura: «La notte era attorno a me come un vasto maleficio immobile, mi sembrava di essere uno di quegli insetti prigionieri dell’ambra da milioni di anni».
Per difendersi, il protagonista costruisce nella sua cameretta una Barriera corallina, una specie di Fortezza della Solitudine da Superman dove si barrica per immergersi nei suoi studi naturalistici e chimici (da grande voleva fare «lo scienziato mago»).
A questi toni dark si alternano toni di scatenata commedia, che è in realtà un modo disinvolto di ripercorrere l’epica famigliare. È una famiglia fatta da sole primedonne dove nessuno vuole cedere il passo agli altri. Una famiglia estroversa e felice ma litigiosissima, in particolare nei giorni di riunione del clan a Natale. Sono risse da saloon dove può accadere che alla fine si registrino scambi di battute come le seguenti. LO ZIO (quello del Doctor Faustus, ripensando al trambusto appena acquietatosi): «In quei momenti avessi una pistola sparerei». IL PADRE (di Enzo, molto somigliante all’attore Al Pacino): «Anch’io».
I pretesti delle risse sono i più vari. A volte a dare fuoco alle polveri è la rievocazione delle antiche gesta di due lontani cugini, i Cipollone, accusati di essere giocatori professionisti di ping pong «che giravano tutti gli alberghi d’Italia imbrogliando gli incauti villeggianti». Sono risse che in altre occasioni diventano processi perché il nonno, il pater familias, è un alto magistrato e allora la sala da pranzo diventa corte d’assise. Quando il dibattimento giunge al culmine, il nonno va a sedersi d’improvviso al pianoforte e suona a orecchio Tu non scrivi e non torni, una canzone degli anni Trenta. Il nipote, annichilito dalle discussioni, lo vede come un mago nella tempesta dei demoni: «Quando comincia a cantare sembra sollevarsi dal suolo, con tanto di pianoforte, portato dai fili. E io con lui».
Oltre che a una notevole intelligenza, che a volte sfocia nella pura genialità, i componenti maschi del clan hanno nel loro Dna, come si dice oggi, una quasi assoluta inabilità manuale. Per loro, azioni di default come farsi la barba, allacciarsi le scarpe, cambiare una gomma, diventano missioni impossibili tanto che il giorno in cui Enzo riesce a stappare, primo nella stirpe, una bottiglia con il cavatappi viene «salutato come l’evoluzione della specie».
Pian piano, le gag lasciano il posto all’epica pura. Il territorio in cui si sviluppa è la patria del pater familias, un Abruzzo dalle dimensioni mitologiche come nelle poesie di D’Annunzio. Con il Vate, il giovane Enzo ritiene di avere un rapporto di telepatia, quasi una sorta di reincarnazione. Nella leggenda abruzzese ci sono avi giocatori d’azzardo, pescatori di arcana sapienza, acque incontaminate dell’Adriatico attraversate a nuoto dalla zia del titolo, una sfinge marina, un dolente enigma.
Romanzo famigliare e di formazione, educazione sentimentale (a partire dai fumetti erotici in bianco e nero, dalle cui pagine spumeggianti di eroine discinte uscirà, come per incantesimo, il primo amore di Enzo) e commosso requiem per gli amati e perduti antenati, il libro di Carabba è un bellissimo Amarcord (superfelliniana è la scena dell’annunciazione della nascita del fratello, con, nella parte dell’Arcangelo Gabriele, un Lampris regius, il salmone degli dei, inopinatamente arenatosi sulla spiaggia della Versilia). Un romanzo di memorie (dalle quali siamo posseduti come una casa stregata dai fantasmi) che si chiude con una domanda che forse nessuno si era mai posto: perché nella storia della scienza è stata scritta L’interpretazione dei sogni e non L’interpretazione dei ricordi? Forse sarebbe stato più importante imparare a decifrare i secondi, sono loro i veri segni dell’alfabeto di ogni vita.